Intervista ad Antonio Arévalo, curatore del Padiglione del Cile nella 53° Edizione della Biennale di Venezia

di Francesco Lucifora

La 53. edizione della Biennale di Venezia diretta da Daniel Birnbaum vede, per la seconda volta dopo otto anni, la presenza del Cile con il progetto di Ivàn Navarro curato da Antonio Arévalo e Justo Pastor Mellado. Nel 2001 l’artista Juan Downey ottenne una menzione d’onore della Giuria Internazionale. Rivolgendo alcune domande ad Antonio Arévalo, si intende focalizzare la situazione artistica cilena e comprendere le intenzioni curatoriali che hanno supportato il progetto di Ivàn Navarro.

Francesco Lucifora) Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi della tematica Fare Mondi scelta da Daniel Birnbaum per la Biennale di Venezia e quali nuovi orizzonti possono delinearsi a partire da questo intento?
Antonio Arevalo) Confrontare due generazioni, partendo dalla Pop Art, passando a Fluxus, al Gutai, fino alla presenza indiscutibile della migliore arte italiana, Lara Favaretto, Simone Berti, Pietro Roccasalva: Bibnbaum delinea un chiaro progetto curatoriale che attraverso la memoria riesca a conformare, appunto, un nuovo mondo. Qui non c’è traccia di comandamenti dall’alto, nè di effimeri omaggi a questo o quell’altro movimento. L’arte normalmente risponde alla politica, ma non la fa, anzi agisce, e di conseguenza si fa sentire in maniere diverse rispetto alle modalità della politica.

F. L.) Secondo la tua esperienza, con quali modalità l’immaginario europeo sul Cile si è evoluto fino ai nostri giorni e quanto ha influito la presenza dell’arte cilena contemporanea?
A. A.) Nel 2001 il Cile ha avuto il primo padiglione nazionale all’interno della 49. edizione della Biennale di Venezia. Devi ricordare che in Cile, fino a poco prima, c’era un oscurantismo culturale causa la dittatura di Augusto Pinochet che operò nel paese una cesura drammatica nell’evoluzione dell’arte e della cultura, di cui ancora oggi si risente. La repressione, il controllo sulle istituzioni culturali e sull’istruzione, la scomparsa o l’esilio di intellettuali (io stesso sono un esule politico), l’impronta ideologico-moralistica ufficiale, la sostituzione dello Stato con l’impresa privata nel patrocinio dell’attività culturale, nell’ambito di un’economia reindirizzata verso il neoliberismo, furono alcuni dei fattori che interruppero violentemente i percorsi della cultura. Questa è anche una delle ragioni per cui si conosce poco, o meglio, si inizia solo adesso a percepire una legme culturale importante, come quello cileno che vanta ben due Premi Nobel e una decina di autori acclamati e molto letti nel mondo.
In quell’ occasione essendo anche commissario-curatore ho voluto rendere omaggio a uno dei precursori della video arte a livello mondiale, Juan Downey. Nonostante fosse già morto, era imprescindibile fare conoscere il passaggio verso la contemporaneità della situazione latinoamericana. Questa intuizione fu in qualche modo premiata da parte della Giuria Internazionale (con la Menzione d’Onore). Non è un caso nemmeno che nell’ultima Biennale d’Architettura, il 40enne cileno Alejandro Aravena vincesse il Leone d’Argento.

F. L.) Con quali modalità e finalità hai supportato, insieme a Justo Pastor Mellado, il progetto trifasico di Ivàn Navarro?
A. A.) Otto anni più tardi della Biennale del 2001, e dopo la grande retrospettiva dedicata ad Alfredo Jaar a Milano, ci troviamo davanti una grossa responsabilità. Come avrai visto dall’elencazione che ti ho fatto nella domanda precedente, c’è una grossa aspettativa internazionale. Fra Juan Downey, Alfredo Jaar e Ivan Navarro, nato a Santiago del Cile durante la dittatura, cresciuto in quel contesto e che oggi rappresenta la nuova generazione, c’è un importante filo conduttore… Questo progetto curatoriale vuole sostentare questo.

F. L.) Qual è la tua opinione riguardo all’arte intesa come resistenza culturale, pensi che sia un bacino tematico esclusivo dei paesi che hanno vissuto un regime? Pensi che tematiche simili possano, nel futuro, esaurirsi?
A. A.) L’apertura verso gli altri mondi è stata la chiave per leggere l’arte contemporanea cilena delle ultime generazioni e per anticipare le prossime.
Questi artisti coincidono generazionalmente e si caratterizzano per la manipolazione e l’articolazione di una serie di materiali, come il riciclaggio d’immagini, gesti e forme della tradizione moderna, e per il loro transitare all’interno di diversi mezzi d’espressione: pittura, fotografia, video e istallazione; sono strettamente legati ai movimenti neoconcettuali e neoggettuali che contraddistinguono la produzione d’arte dell’ultima decade.
Dalla loro zona geografica elaborano i rapporti fra modernità e contemporaneità utilizzando come punto di partenza le esperienze delle avanguardie più puriste dell’arte moderna, dall’astrattismo geometrico al costruttivismo e all’arte concreta, fino ad arrivare al minimalismo, all’arte ottica e alle derivazioni più contemporanee. E’ da qui e con questi elementi che loro fanno sentire la loro resistenza culturale e non da una mera propaganda: questa la ragione per la quale, dal mio punto di vista, questo loro fare non è assolutamente destinato ad esaurirsi.News Art a part of cult(ure) <info@artapartofculture.org>

F. L.) Visto il tuo particolare legame con l’Italia e ribadendo della forte ingerenza della politica sul mondo dell’arte e della cultura, quali sono gli altri malfunzionamenti e quali le possibili soluzioni?
A. A.) Una domanda forte e impegnativa, la risposta, oggi più che mai, la lascio a voi…

Dopo la Biennale.

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