Le Considerazioni Finali del governatore Draghi
Prima di considerare “passata la bufera” sciogliamo i nodi strutturali
Enrico Cisnetto
Realismo sul passato e consapevolezza sul presente. Sono questi i due architrave su cui il Governatore della Banca d’Italia ha costruito le sue “considerazioni finali”. Nelle 17 pagine di acuta disamina delle condizioni di salite dell’economia italiana, Draghi non ha omesso nulla, dai richiami al mondo bancario, all’allarme per un’economia sommersa che costituisce ormai il 15% della produzione italiana, alle riforme necessarie.
Ma il punto focale della sua quarta relazione è tutto sul “come uscire dalla crisi”. Una crisi che probabilmente ha superato il suo “nadir”, il suo punto più violento, perché “le tensioni sui mercati finanziari si sono allentate, le quotazioni di Borsa sono tornate su livelli di inizio anno, gli indicatori qualitativi dell’economia reale mostrano un’attenuazione delle spinte recessive”. Siamo vicini, dunque, a chiudere quella fase di “pronto soccorso”, come l’ha definita ieri Giulio Tremonti, per puntare su quella che lo stesso ministro dell’Economia ha chiamato “della riabilitazione”.
A confermare che la fase più critica sarebbe alle spalle ci sono anche i dati sulla produzione industriale di maggio anticipati due giorni fa dal Centro studi di Confindustria. Secondo cui la “caduta libera” della produzione si è quasi arrestata, con un limitato calo mese su mese (-1% rispetto ad aprile).
Questo in termini relativi. Ma se guardiamo ai dati assoluti, vediamo che il taglio di oltre un quinto della capacità produttiva della nostra industria manifatturiera è ormai un fatto acquisito. Così come molto più pesante è il quadro “assoluto” tracciato dal Governatore sull’economia italiana rispetto alla contingenza “relativa” della crisi. Da una parte, infatti, se guardiamo allo “storico”, vediamo che dal terzo trimestre 2008, da quando cioè la crisi ha colpito l’economia reale, la produzione italiana è crollata in nove mesi di oltre il 35%: ciò significa che abbiamo perso per strada oltre un terzo del nostro “ouput”.
Dall’altra, Draghi ha sottolineato che nei sei mesi da ottobre 2008 a marzo 2009 il prodotto interno lordo è sceso di oltre 7 punti percentuali. Dati “drammatici”, come si è lasciata sfuggire Emma Marcegaglia. Dai quali si capisce bene il significato dell’affermazione secondo cui “ogni paese affronta la crisi con le sue forze, le sue debolezze, la sua storia”, come si legge nell’ultima pagina delle Considerazioni. Cui Draghi aggiunge, lapidario: “negli ultimi 20 anni la nostra è stata una storia di produttività stagnante, bassi investimenti, bassi salari, bassi consumi, tasse alte”. La storia di un tessuto produttivo che solo in parte ha tentato, come sottolinea il Governatore, un processo di ristrutturazione industriale che però oggi è messo a repentaglio dal peggioramento delle condizioni congiunturali.
Insomma: la fase più violenta della crisi sarà pure alle spalle, ma non illudiamoci che con essa scompaiano i nostri problemi strutturali. Perché, oltretutto, il confronto non va fatto solo con il nostro passato. Va fatto, soprattutto, con i nostri competitori.
E qui, si sommano due ingredienti esplosivi: da una parte un gap di crescita che negli ultimi 15 anni 15 anni (1992-2007) è stato di 15 punti nei confronti di Eurolandia e di 35 punti verso gli Stati Uniti; dall’altra, il fatto che, nel frattempo, altrove si stanno ponendo le basi per un’importante riconversione industriale post-crisi, fatta di investimenti in infrastrutture fisiche e immateriali, in energia pulita e più in generale di “green economy”, di grandi riassetti di interi settori (vedi l’auto). Il combinato disposto dei nostri ritardi storici e delle riforme che altrove si stanno facendo, significa che anche quando saremo fuori dalla recessione, altri ne saranno “più fuori di noi”. Questo il messaggio che emerge, nemmeno tanto sottotraccia, dalla Banca d’Italia. Un messaggio né pessimista né ottimista, ma improntato semmai ad un realismo di cui si sente un assoluto bisogno.