LA FIGURA DEL CARDINAL MARTINI: ASSUNZIONI POSITIVE ED EQUIVOCI BIOETICI

Una delle peggiori onte che l’opera di Carlo Maria Martini è, probabilmente, destinata a subire consiste nella scoperta di un pubblico esponenziale di lettori esclusivamente ex post mortem, che ne millantino trame di continuità e devozione. In realtà, il teologo Martini, non diversamente dal pastore e, comunque sia, dall’intellettuale a tutto tondo nel dibattito pubblicistico italiano, è stato personalità scomoda, talora minoritaria, patrimonio di tutti fuorché di numerosi establishment e giochi di potere e compiacenza. Nel generico tributo alla sua figura e alla sua persona, le posizioni più interessanti vengono colpevolmente sfumate. Eppure, Martini seppe molto dare al clima culturale italiano, anche su questioni squisitamente giuridiche (guarda caso, quelle più facilmente finite nel dimenticatoio). Il Cardinal Martini elaborò tesi profonde, e per meglio dire: profondamente critiche, sulla legge 40 in materia di procreazione medicalmente assistita: nel plauso generale di troppe gerarchie (ancor più civili, che ecclesiastiche), seppe valutare che il divieto della fecondazione eterologa dovesse sembrare, innanzitutto, frutto di un’elaborazione contestuale ma anche che, circa la natura di tale divieto, non potesse esigersi che esso tale e quale sarebbe potuto rimanere nei prossimi secoli della societas christiana -acquisizione non da poco, se si considera che quella stessa societas sta per varcare il suo terzo millennio di Storia. Delle osservazioni fatte dal Martini, propriamente ontologiche, sulla ragione intrinseca che deve animare la corretta interpretazione del diritto naturale, anche in materia di bioetica, c’è ben poca traccia nei tributi degli ultimi mesi e, invece, molto oblio e troppa rimozione. Martini, come studioso e pensatore, oltreché ministro, non può essere agitato né quale fautore di posizioni esclusivamente antigerarchiche, né però, e peggio, come cattedratico buonista e continuista. Basti dire, in proposito, delle perplessità che Egli nutriva nei confronti del canone 805 del vigente Codex Iuris Canonici, che legittima, nel ricoprire il ruolo di insegnanti della religione cattolica, solo quanti eccellano per “retta dottrina”, “testimonianza di vita cristiana” e per “abilità pedagogica”, ritenendo che questa conformazione dei (pre)requisiti soggettivi fosse destinata a risultare sin troppo declamatoria e solenne, ma, forse, non idonea a dotarsi di un debito addentellato con le problematiche poste all’attenzione della docenza e della discenza. E come dimenticare l’insegnamento del Cardinale su due aspetti che risultano centrali, non solo per la cristianità, alla luce del recente Magistero, ma anche per la complessità delle esperienze umane, sul fattore religioso, ovverossia la pace in Medio-Oriente e il pluralismo da richiedersi al sistema dell’informazione? Quelle posizioni, lungi dall’apparirci polemiche (l’archetipo gerosolimitano nel discorso urbanistico planetario e la difesa dei diritti all’espressione e alla manifestazione del pensiero, da parte delle minoranze), suggeriscono semmai di potersi acutamente utilizzare come viatico per meglio comprendere anche numerosi esortazioni di Benedetto XVI (ex plurimis, il discorso tenuto in occasione dell’ottocentesimo anno dalla conversione di San Francesco, oppure il messaggio “urbi et orbi” del Natale 2005). Molto altro sarebbe da dire del Martini teologo e conoscitore non occasionale della dottrina politica, che maneggiava, senza il “riflusso” ideologico-culturale di certo “ateismo devoto”, le fonti della Scolastica, nell’impostare un discorso sui rapporti tra autorità e persone (cfr., nel recente ambito giuridico-laicale, S. Violi, “Normatività e Coscienza”, nonché R. Laudani, “Disobbedienza”); l’impressione fondamentale, che resta agli occhi dell’interprete, quanto alla coscienza del fedele e alla positiva empatia che Martini riusciva a suscitar anche nell’ateo, è, tuttavia, che i ricordi più attenti e sinceri di quella illuminata figura abbiano saputo, anche per cenni e paragrafi, dar lustro a una vivacità prospettica e a una “humanitas” fuor dal comune della nostra esperienza di vita, analisi e ricerca. Le osservazioni più parziali, invece, qualora scegliessero di approcciare sbrigativamente un aspetto in danno di un altro -o tutti, ma in modo inadeguatamente apodittico, avrebbero il torto di non onorar l’uomo (cosa di cui, forse, il Cardinale medesimo poco si sarebbe doluto) e, soprattutto, quello di non far buon servizio alle “gentes” di questo pianeta (cosa che, verosimilmente, Carlo Maria Martini avrebbe trovato assai più difficile da accettare).

Domenico Bilotti

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