Cinema grande e piccolo in Festival

Resta a dieta di premi il nostro cinema, nonostante un’ottima annata produttiva, segno evidente che da lui ci si aspetta di più sotto il profilo sia stilistico che narrativo. Ieri sera, in una atmosfera per me aquilano ancor più cupa, dopo il grave malore di Giancarlo Canelli, che ha bruscamente interrotto il recital del gruppo rock “Sale Chiodato”, in corso all’Auditorium della Guardia di Finanza, introduzione ad un recital per beneficenza, all’indirizzo della Facoltà di Ingegneria, di Giobbe Covatta; il nostro cinema è uscito a bocca asciutta sia dal Torino Film Festival, che dagli Oscar Europei assegnati a Berlino. A Berlino trionfa “Melancholia” di Lars Von Trier, mentre noi ci consoliamo con il premio a Michel Piccoli (che però è francese) per la sua interpretazione in “Habemus papam” di Moretti. Ed anche a Torino a vincere è il “profondo Nord”, con il premio principale che va al film islandese “A Annan Veg/Either Way”, robusta e sensibilissima opera prima del trentenne Hafsteinn Gunnar Sigurdsson. Sempre nel Capoluogo Cisalpino, la giuria della XXIX edizione del Festival più cinefilo d’Italia (grazie a Gianni Amelio che sa spendere bene il pur risicato budget), assegna il Premio speciale ex-aequo a “17 Filles /17 ragazze” di Delphine e Muriel Coulin (Francia) e a “Tayeb, Khalas, Yalla/Ok,enough, goodbye” di Rania Attieh e Daniel Garcia (Emirati Arabi Uniti/Libano). Il Premio per la Miglior Attrice, in collaborazione con la rivista “Max”, è andato a Renate Krossner per “Vergiss dein ende/Way homè” di Andreas Kannengiesser (Germania) e quello per il Miglior Attore, sempre in collaborazone con 'Max', a Martin Compston, per “Ghosted” di Craig Viveiros (Regno Unito). Certamente premi meritati e ben scelti dalla giuria presieduta da Jerry Schatzberg (USA) e composta da Michael Fitzgerald (USA), Valeria Golino (Italia), Brillante Mendoza (Filippine) e Hubert Niogret (Francia), ma soprattutto un bellissimo festival con scelte attente per il concorso e retrospettive degne delle migliori rassegne internazionali. Ho particolarmente invidiato la retrospettiva su Robert Altman, autore di film appartenenti ai generi più svariati, pellicole inclassificabili e, soprattutto, regista complesso anche a causa del bombardamento devastante, effettuato dallo lui stesso Altman, dall’interno dei generi cinematografici senza nessun tipo di voglia di diventare un regista “avant garde”. Insomma, fin dall’inizio della sua carriera cominciata con The Delinquents nel 1955 e conclusa nel 2006 con Radio America, Altman ha cercato il successo e il consenso del pubblico con rigore ed eleganza: non dobbiamo dimenticare che fu uno dei registi di punta della serie tv The Alfred Hitchock Hour, senza mai fare benché la minima concessione commerciale nel suo cinema. Tralasciando La storia di James Dean, che nonostante una colonna sonora d’eccezione, non è stato un film riuscitissimo, è con Conto alla rovescia, del 1968, e Quel freddo giorno nel parco, del 1969, che il giovane Altman comincia a dare i primi colpi al sistema hollywoodiano. Prima con la fantascienza e poi con lo psyco-thriller, raffredda i generi portandoli a livello dello sguardo umano. Infine, esplora la quotidianità, cosa che fino a quel periodo il cinema americano classico raramente abbia fatto.
La consacrazione giunge l’anno successivo con M.A.S.H., satira anti militarista che vince il Gran Premio al Festival di Cannes. Con I protagonisti, del 1992, Altman raccoglie quello che ha seminato: che si tratti del carveriano America Oggi, di Kansas City, omaggio alla sua città natale e al jazz (di cui era appassionato da sempre), dello strepitoso film sudista La Fortuna di Cookie, il “giallo da camera” di Gosford Park e persino il new-country Radio America, ci troviamo sempre davanti a pellicole che consapevolmente raccontano l’America di oggi, senza fronzoli e soprattutto con grandissima onestà intellettuale. Importante direttore di attori, Altman ha avuto la possibilità di lavorare con i più grandi interpreti americani grazie anche alla sua voglia di fare spesso dei film corali. Oscar alla carriera nel 2006 praticamente postumo perché morirà solo quattro mesi più tardi. Una lezione di cinema e al cinema (anche italiano), per uscire dalla piattezza della semplice messa in scena e diventare, davvero, qualcosa di speciale. Tornando agli Efa (European Film Awards), “Melanchonia” conquistando tre premi (miglior film fotografia e designer), è autentico trionfatore, ma, dopo le polemiche di Cannes, Lars Von Trier non si è presentato a Berlino ed è stata la moglie, Bente Froge, a ritirare il premio per lui, senza fare alcun commento. L'Oscar per la miglior regia è andato alla danese Susanne Bier per “In un mondo migliore”, mentre al tedesco Wim Wenders, direttore e cofondatore del premio, ha ottenuto quello per il miglior documentario “Pina”, film in 3D dedicato alla ballerina e coreografa Pina Bausch, che ora attendiamo nelle sale italiane. L’accademia ha poi omaggiato con un riconoscimento alla carriera il regista britannico Stephen Frears, che ha iniziato a collaborare con il Royal Court Theatre di Londra, dove ha conosciuto i registi Karel Reisz e Lindsay Anderson. Assistente di Reisz nel film Morgan matto da legare (1966), con David Warner e Vanessa Redgrave, Stephen Frears è stato aiuto regista di Lindsay Anderson in Se… (1968), con Malcolm McDowell e ha collaborato a L’errore di vivere(1968), diretto ed interpretato da Albert Finney. Nel 1972, Frears dirige il suo primo film, Gumshoe, ma dopo quell’esperienza passano dodici anni, prima che il regista inglese possa lavorare di nuovo ad un progetto per il grande schermo. Nel frattempo realizza diversi film per la televisione, affinando le proprie capacità e sviluppando una tecnica basata su un metodico e duro lavoro svolto con attori e sceneggiatori. Nel 1985 ottiene il suo primo successo con My Beautiful Laundrette (1985), girato in 16mm per la televisione britannica e poi distribuito nelle sale cinematografiche che segna anche l’inizio della sua collaborazione con lo scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi, continuata poi con Sammy e Rosie vanno a letto (1987). Nel 1990, Martin Scorsese produce Rischiose abitudini, con John Cusack, Anjelica Huston e Annette Bening, seguito da un altro film americano, Eroe per caso (1992), con Dustin Hoffman, Geena Davis e Andy Garcia. Poi Frears dirige due film a basso costo, tratti dai romanzi di Roddy Doyle e ambientati a Barrytown, un sobborgo di Dublino: The Snapper (1993) e Due sulla strada (1996). Dopo Mary Reilly (1996), con Julia Roberts e John Malkovich, The Hi-Lo Country (1998) e Alta fedeltà (2000), con John Cusack, il regista realizza Liam (2000), interpretato da Ian Hart e Anthony Borrows. nel 2006 firma a The queen, ritratto di Elisabetta II nelle ore e nei giorni successivi alla tragica morte di lady Diana. Per questo lavoro arrivano le nomination agli Oscar per Frears (regia) ed Helen Mirren (attrice protagonista, è una straordinaria regina Elisabetta). Le candidature del film alla celebre statuetta sono nel complesso 6 e per Stephen Frears è la seconda della carriera. Gli ultimi suoi film sono stati “Cherì” del 2009 e “tradimenti all’inglese” del 2010, un piccolo capolavoro, ricavato da una graphic novel di Posy Simmonds, a sua volta ispirata a “Via dalla pazza folla” di Thomas Hardy, con il titolo originale di “Tamara Drewe”, il film aggiorna la tradizione della British comedy con sottolineature licenziose e permissive ben calibrate. La regia, sostenuta da contributi tecnici di prim'ordine e dalla travolgente sceneggiatura di Moira Buffini, muove con sapienza un cast di attori che fa scintille (la nostra personale Palma d'oro va a Roger Hallam, ma è ottima pure la protagonista, Gemma Arterton). Il “Frears touch”, che si rivela al meglio nell'adattamento di testi preesistenti, qui staziona, sornione, tra il divertito e il disilluso: come indica lo scioglimento, cinico quanto basta ad irridere ogni forma d'innocenza. Una volta, un critico francese, scrisse con acidità di John Huston: “il grande regista che non ha mai fatto un bel film”; nel caso di Stephen Frears si potrebbe dire il contrario: il regista che ha fatto tanti bei film, ma che in pochi considerano grande. Ed ora Torino l’Accademy Europea vi ha rimediato. E a rimedia nei confronti del sempre marginalizzato cinema nostrano, un Festival minore (per budget risicati e per metà privati), ma accortamente cinefilico, “Sulmonacinema”, che si volgerà fra il 3 ed il 7 dicembre nel capoluogo peligno, giunto anche lui (come Torino) alla XXIX edizione e a rischio fino all’ultimo, a causa dei finanziamenti ridotti all’osso e di un cinema concesso in extremis. Come al solito con una attenzione particolare al cinema italiano indipendente, con, in concorso, opere prime e seconde di grande valore, come “Io sono Li” di Andrea Segre e “Corpo Celeste” di Alice Rohrwacher, selezionata anche per il prossimo Sundance. In apertura, oggi domenica, in anteprima nazionale “Cacao” di Luca Rea, love story demenziale in forma di commedia fumettistico-surreale, divertente e davvero sorprendete per ritmo e contenuti. A sostenere il festival e la sala che lo ospita (il cinema Pacifico, chiuso per il resto dell’anno) una delegazione del Teatro Valle Bene Comune, che intende portare a Sulmona la propria esperienza a sostegno di una città privata della sua unica sala cinematografica, gestita fino a qualche tempo fa con grande passione dall’Associazione Culturale Sulmonacinema, che ha portato al cinema non solo tante pellicole in prima visione appartenenti al normale circuito cinematografico, ma anche film indipendenti, rassegne musicali, grandi e piccoli concerti, spettacoli teatrali, attraverso la collaborazione con le diverse realtà culturali cittadine e non. Presidente di giuria di questa ventinovesima edizione, sarà Enrico Ghezzi, il padre di Blob e Fuori Orario, direttore di festival, critico e autore, colui che di cinema ha parlato in sincro e fuori sincro e che a Sulmona assegnerà l’Ovidio d’argento al miglior film 2011, insieme ad una giuria composta da studenti delle scuole di cinema. Al Sulmonacinema e alla sua Associazione, l’affetto, la prossimità ed il sostegno della’Istutoto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, mesosi a disposizione, con la sua cineteca e le sue diverse professionalità, per far vivere il cinema anche durante il resto dell’anno in quel luogo spesso troppo periferizzato dell’Abruzzo. Per maggiori informazioni sul Festival: http://www.cinemaitaliano.info/conc/00171/2011/sulmona-cinema-film-festival.html.

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