I cristiani e la politica

di Rocco Buttiglione

Identità cristiana in Italia “Non c’è laicità senza fede”
Loreto, 28-30 novembre 2008

Esiste oggi in Italia un popolo cristiano che non è politicamente rappresentato? Esiste cioè nel nostro paese un popolo cristiano che costruisce comunità, assiste i malati e gli anziani, aiuta le famiglie, educa le giovani generazioni, lotta per rafforzare una cultura della legalità, ha cura dei poveri e dei disperati, tappa con il suo impegno volontario i buchi dello stato sociale e sosta, irrequieto e incerto, ai confini della politica?
A me sembra che questo popolo esista. L’affermazione non è scontata. Una quarantina di anni fa era dominante piuttosto l’idea che il nostro fosse il tempo della secolarizzazione.
Il tempo della secolarizzazione, si diceva, è quello di un uomo adulto che basta a se stesso e non ha bisogno di Dio. In questa fase storica sorge una nuova società che non ha bisogno di religione, e di religione non ha bisogno, naturalmente, neppure lo Stato. Per questa visione non può sussistere, nel nostro tempo, un popolo cristiano.
Rimangono, certo, dei cristiani che sopravvivono come singoli al di fuori della sfera pubblica e non sono comunque interlocutori delle scelte sociali e politiche.
L’uomo nuovo dell’epoca della secolarizzazione ha un suo orizzonte intrascendibile all’interno del quale colloca la formulazione e la soluzione di tutti i problemi dell’esistenza. All’interno di questo orizzonte non c’è posto per Dio. Nasce, allora, perfino una teologia che cerca di riformulare l’annuncio cristiano all’interno di quell’orizzonte; si parla di una “fede senza religione” o di un “cristianesimo ateo”.
La realtà sembrava confermare quelle analisi: le chiese si svuotavano e la religione sembrava essere diventata un elemento residuale nella storia del mondo. Un poeta, Pier Paolo Pasolini, in un articolo sul Corriere della Sera, in occasione della Pasqua, descrive un uomo vestito di bianco che gira attorno al Colosseo portando sulle spalle una croce, seguito da qualche centinaio di persone, nella esecuzione di un rito che nessuno comprende più, mentre da tutti i lati sfrecciano le auto impazienti e disinteressate.
E’ Paolo VI che celebra la Via Crucis e vive, al tempo stesso, la sua personale Via Crucis di uomo, di sacerdote e di Papa. Pasolini commenta
che quell’uomo è il passato, ma quel passato è più umano del futuro che minaccioso si annuncia. In quel futuro, infatti non verrà meno solo il popolo cristiano. Verrà meno il popolo in generale, qualunque tipo di popolo.
Residuerà solo una massa di individui isolati, egoisti, preoccupati solo di se stessi, e proprio per questo alienati e disponibili a qualunque manipolazione da parte del potere.
Questo era ciò che era ragionevole prevedere. Le cose però sono andate in un altro modo. Il sogno di “una società perfetta in cui non ci fosse bisogno di essere buoni”, che contrassegnava il marxismo ma anche il secolarismo e l’irreligione occidentale, è andato in pezzi in due tappe.
La prima è stata la caduta del Muro di Berlino. La potenza ideologica, politica e militare che sembrava racchiudere nelle sue mani le chiavi del futuro crolla davanti ad una resistenza ideale, culturale, religiosa e morale. E’ l’avvenimento di Solidarność.
Senza quella grande testimonianza, il comunismo non sarebbe caduto, e comunque non sarebbe caduto senza sangue e senza guerra. Improvvisamente si afferma come protagonista della storia la coscienza nazionale e la coscienza religiosa. Nazioni e comunità religiose appaiono di nuovo inaspettatamente come protagoniste della storia. Qualcosa di analogo avviene in America Latina: le dittature di “sicurezza nazionale” crollano davanti ad un grande movimento per i diritti umani guidato, direttamente o indirettamente, dalla Chiesa Cattolica.
Fenomeni analoghi si affermano anche in Asia ed in Africa. L’ultimo quarto del secolo XX è la fase di una espansione senza precedenti della democrazia nel mondo, attivata e guidata in larga misura dai cristiani. Sullo sfondo si staglia la grande figura di Giovanni Paolo II. La prima tappa del crollo del mito della società secolare è dunque segnata dalla caduta del comunismo, e dalla espansione della democrazia e dal protagonismo dei cristiani nell’ultima parte del secolo XX.
La seconda tappa avviene in questi giorni con la grande crisi economica mondiale. E’ la crisi del capitalismo selvaggio, orientato solo al profitto immediato; è la crisi di una economia che ha dimenticato che il capitale deve essere al servizio del lavoro ed ha cercato di fare soldi con i soldi, per mezzo della pura speculazione e senza passare per il cammino dell’investimento produttivo, della creazione attraverso il lavoro di merci e servizi. Esiste una consonanza profonda fra questa economia del denaro ed il relativismo etico che ha dominato in questi anni: l’apparire e l’avere prevalgono sull’essere. Dopo la caduta del muro di Berlino molti pensarono e dissero che la vittoria fosse non della testimonianza resa dai cristiani, dagli ebrei e da tanti non cristiani alla verità sull’uomo ed alla libertà , ma del denaro e della maggiore efficienza economica dei sistemi capitalistici. Questa visione ha incontrato adesso il suo limite. Sempre più diventa evidente la necessità di un nuovo rapporto fra etica ed economia.
L’attività economica si svolge sempre necessariamente sullo sfondo e sulla base di una visione della persona umana. Quando questa viene meno, l’economia si avvita su se stessa e precipita.
Questa è la lezione amara di queste ultime settimane.
Ha detto in modo icastico ed efficace Benedetto XVI: “Il denaro non è reale, solo Dio è reale”.
Dio, e l’uomo che è fatto a sua immagine e somiglianza. Non esistono sistemi economici o sociali perfetti, che tolgano all’uomo la fatica della solidarietà, dello sforzo etico e politico per evitare che le persone concrete siano lacerate dagli ingranaggi del sistema. Mentre per molti anni si è pensato che la politica fosse autonoma e bastasse a se stessa oggi è sempre più evidente che la politica è la forma in cui tutti insieme assumiamo la responsabilità etica della nostra azione comune. Se passa questa consapevolezza allora finisce un certo tipo di politica, che ha dominato in questi anni e che ha scoraggiato l’impegno dei cristiani.
E’ quel tipo di politica per cui il tema centrale ed unico è la lotta a morte per il potere e non la costruzione faticosa del bene comune.
Quello che emerge è la domanda di una politica nuova che sappia unire l’efficienza del mercato e la solidarietà sullo sfondo di un ritorno a valori forti e di un nuovo spirito comunitario. Proprio a questa alleanza di mercato libero e solidarietà chiamava nel 1991 la Enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II. E’ da lì che bisogna ripartire.

Abbiamo cercato di tratteggiare alcune tendenze di fondo della nostra cultura. Vogliamo adesso centrare con più precisione la nostra analisi sull’Italia e sul popolo cristiano che è nel nostro paese. Negli anni in cui il fenomeno della secolarizzazione sembra essere inarrestabile si fa strada anche da noi il progetto pastorale di una chiesa dentro la secolarizzazione, che ne accetta l’orizzonte e rinuncia a contestarlo ed a trascenderlo.
Negli anni in cui la secolarizzazione sembra avviata verso il suo compimento inizia però nella società italiana qualcosa di nuovo. Silenziosamente, senza appoggi politici, senza giornali o televisioni, senza nessun sostegno del potere sociale in nessuna delle sue forme, nuovi movimenti nascono o antichi vengono rivitalizzati, esperienze di fede viva mobilitano l’appartenenza e la partecipazione prima di piccoli gruppi, poi di comunità più ampie, alla fine di grandi movimenti. Sembra di vedere con evidenza la realizzazione del miracolo per cui la Parola di Dio è in grado di trarre figli di Abramo anche dalle pietre. Contro ogni previsione umana un popolo cristiano riemerge e si impone come realtà concreta che dà senso alla vita dei singoli e cambia quella della società. I Focolari, i Neocatecumenali, Comunione e Liberazione, S. Egidio, i gruppi di preghiera mariani e di Padre Pio, il rinnovamento delle ACLI e dell’ AC, il Rinnovamento nello Spirito diventano un fattore fondamentale di animazione non solo della vita della chiesa, ma anche di quella della società civile. Una esperienza di fede viva mobilita energie al servizio della società tutta e per il bene comune. E’ imponente lo sviluppo del volontariato e del cosiddetto Terzo Settore. E’ una nuova cultura della partecipazione e della responsabilità. Invece di invocare sempre e comunque l’intervento dello Stato si affrontano le situazioni di difficoltà e di bisogno con il proprio impegno personale e comunitario. Questo non significa fare a meno dello Stato o sottovalutarne il ruolo e la funzione. Si chiederà allo Stato di intervenire per secondare e sostenere l’iniziativa di chi già si è mobilitato per affrontare un bisogno umano. Si riscopre in tal modo il principio di sussidiarietà. Si pensi per esempio alla grande mobilitazione coordinata dalle CARITAS per affrontare il dramma della povertà nel nostro paese.
Oppure all’impegno della lotta contro la droga o per il sostegno e l’assistenza agli anziani. L’uomo nel bisogno non può essere considerato solo come un oggetto di una assistenza burocraticamente organizzata. E’ una persona che deve prima di tutto essere incontrata come tale nel contesto concreto delle sue condizioni di esistenza, all’interno del suo “mondo della vita”. La fede viva genera opere per il bene di tutta la società. E’ proprio a partire dall’esperienza di questo fiorire di opere che si pone il problema del rapporto con la politica. Contro la visione in politica dominante che conosce solo lo Stato ed il mercato e tende a ridurre tutto a Stato o mercato emerge una realtà imponente che non è né Stato né mercato, ma piuttosto società solidale. Mentre il dibattito politico oscilla tra i due poli dello statalismo e del liberismo, qui emergono esperienze originali di comunità e di solidarietà sociale, riscoprendo in qualche modo anche il nostro testo costituzionale che parte dalla persona, ma riconosce anche le comunità nelle quali la personalità si espande e pienamente si realizza.
Quest’esperienza di diversità rispetto alla destra liberista ed alla sinistra statalista porta anche a recuperare concetti come quello di centro o di economia sociale di mercato.
Il tema della politica si impone alla nostra attenzione anche per un’altra via. La nuova ideologia del relativismo etico sceglie il cammino della politica per portare il suo attacco alla verità dell’uomo. Lo Stato non deve riconoscere nessuna verità sull’uomo. Parlare di verità dell’uomo che lo Stato deve rispettare non deve più essere lecito. Noi non vogliamo imporre la “nostra” verità sull’uomo. Vogliamo il diritto di partecipare con pari diritti alla discussione pubblica intorno alla verità dell’uomo a partire dalla nostra esperienza umana e dalla nostra esperienza di fede, che è anch’essa esperienza di umanità.
Passa adesso invece l’idea che tutti abbiano diritto di partecipare alla discussione pubblica dalla quale devono poi discendere le decisioni politiche sulle questioni cosiddette “eticamente sensibili”…tutti tranne i cristiani. Sono questioni che si aggirano intorno alla domanda “chi è l’uomo?” “Il bambino non nato è uomo?” “Ed il morente che è in coma?” “E chi decide chi è un uomo e chi no, chi ha diritto alla vita e chi tale diritto non ha?” E ancora “cosa è la famiglia?” Esiste una natura della famiglia dalla quale discendono dei diritti che lo Stato è tenuto a rispettare ed a difendere o famiglia è semplicemente quello che il potere sociale di volta in volta decide che la famiglia debba essere?
Viviamo in un mondo in cui l’uomo è ingannato con la promessa di una libertà sempre più grande. Gli si dice: “Fa’ pure quello che ti pare e piace e sarai come Dio”. In questo modo lo si rende invece solo, alienato, incerto di se stesso e desideroso di imitare quello che fanno tutti gli altri. In questo modo l’uomo diventa massa facile da manipolare e da gestire per il potere.
C’è una certa connessione fra la negazione di Dio e questa alienazione dell’uomo. L’uomo che non accetta di dipendere da Dio nell’amore finisce con il dipendere dal potere sociale per paura. Chi sono io veramente o lo scopro nel rapporto con Dio giorno per giorno o finisco con il farmelo dire dai padroni del pensiero e dai giornali.
Per difendere l’uomo oggi è necessario tornare all’idea di natura e di legge naturale. L’uomo ha delle leggi che regolano la sua vita: se non mangia muore, se si ubriaca diventa irresponsabile e stupido….. L’uomo impara la legge della vita nel rapporto con altri uomini. Non si è fatto da sé, lo hanno fatto i suoi genitori. E del sostegno dei suoi genitori ha bisogno per crescere e diventare adulto e maturo, fisicamente, psichicamente e spiritualmente. I genitori hanno il compito di educarlo e di trasmettergli i valori che loro hanno sperimentato come veri nella vita. Questi valori il bambino metterà poi alla prova della sua esperienza, ne lascerà cadere la parte più caduca, ma tratterrà invece il nocciolo vitale.
Senza quella ipotesi originaria sulla realtà che i genitori trasmettono nella famiglia e che si chiama tradizione il bambino non potrebbe orientarsi nel mondo. Morirebbe o al massimo diventerebbe un disadattato. Per svolgere questo compito i genitori devono stare insieme, devono costruire attorno ai loro figli una specie di utero spirituale che li protegga e li aiuti ad entrare nella realtà. Questo, a sua volta è possibile se un uomo e una donna si amano e perseverano nell’amore. L’uomo è libero ma è fatto per vivere in comunità con altri uomini, e la prima comunità si chiama famiglia. E’ nelle famiglie che l’uomo si forma spiritualmente e fisicamente. Il sesso è la forza più potente che Dio abbia dato agli uomini nell’ordine della natura per unirli. E’ nell’attrazione sessuale e nell’innamoramento che noi impariamo che un altro essere umano può diventare così intimo a noi che non possiamo più definire la nostra identità se non nel rapporto con lei (o con lui). Se questa forza viene dissacrata e depotenziata, se si blocca il movimento che va dall’innamoramento all’amore alla generazione dei figli alla educazione fino all’età adulta e poi alla cura dei figli verso i genitori il risultato è che l’intera società si dissolve. I figli non vengono più generati. Anche la crisi delle pensioni deriva infine dal fatto che un numero sempre minore di lavoratori giovani deve pagare i contributi per un numero sempre crescente di anziani che non hanno voluto avere figli. I pochi bambini che nascono spesso non vengono educati, ed abbiamo fenomeni come il bullismo e la crescente criminalità giovanile. La società si disfa.
Quando parliamo di legge naturale non ci riferiamo ad una norma che vale solo per i cristiani e che ha bisogno di essere sanzionata dal potere dello Stato. La legge di natura è nelle cose stesse e se non la osserviamo la punizione è contenuta negli effetti stessi della nostra trasgressione: la società viene meno, la famiglia si sfascia, l’uomo muore.
L’ideologia dominante, invece, ci dice che l’uomo vive solo per se stesso, che non esistono diritti della famiglia, che la famiglia non esercita nessuna funzione sociale.
Tutto è famiglia, quindi in realtà nulla è famiglia.
Tutta la società è nemica della famiglia: la scuola insegna che la libertà non è il misurarti con la tradizione ed i valori che la famiglia ti trasmette, ma semplicemente il fare quello che pare e piace; la televisione ti insegna che il sesso esiste e l’amore invece no.
Non vale la pena di innamorarsi, chi ama di più soffre di più, il matrimonio è la tomba dell’amore….
Quando viene il tempo delle difficoltà e delle crisi nessuno spiega alle giovani coppie che vale la pena di perseverare nell’amore e così si sfasciano. Lo Stato tassa le famiglie allo stesso modo come le persone sole, senza considerare che con gli stessi soldi uno che ci vive da solo è ricco e uno che deve farci vivere una famiglia è povero.
La famiglia è il vero soggetto oppresso del mondo di oggi: porta il peso della società ed in cambio è sfruttata da tutti e nessuno la ringrazia. La questione della famiglia è la questione politicamente più importante per il mondo di oggi. Questa questione politica è al tempo stesso una grande questione culturale: c’è dietro una antropologia, cioè una visione dell’uomo. C’è dentro una cultura umana: non a caso Benedetto XVI ha detto che la prima emergenza è quella educativa. Il soggetto primo dell’educazione – sarà bene ricordarlo – è la famiglia. E la famiglia ha diritto anche ad avere una scuola che la aiuti nel suo compito educativo. La questione della libertà di educazione, del diritto ad educare i propri figli secondo la propria esperienza di vita e secondo i propri valori è parte essenziale della difesa dei diritti dell’uomo e della famiglia.
Una politica orientata al vero bene dell’uomo non può non vedere nella famiglia un interlocutore essenziale di tutte le politiche economiche e di tutte le politiche sociali. Alla fine l’economia esiste perché l’uomo possa vivere. C’è il rischio oggi che l’uomo esista perché l’economia possa funzionare e l’uomo sia ridotto semplicemente al ruolo di produttore e di consumatore.
Una terza questione interroga oggi la coscienza cristiana nel nostro paese, è la questione della immigrazione e della identità nazionale. L’Italia è diventata un paese di immigrazione. Milioni di donne e di uomini dei paesi poveri della terra sono venuti a stare fra noi alla ricerca di una possibilità di vita migliore per se stessi e per le loro famiglie. Davanti a questo siamo chiamati a vivere una grande esperienza di accoglienza e di umanità. Benché siamo stati noi stessi fino a non molto tempo fa un paese di emigranti si levano voci che chiedono verso queste donne e questi uomini atteggiamenti di diffidenza, talvolta di esclusione e di odio. Il nostro sistema produttivo chiede braccia, arrivano invece uomini che chiedono il rispetto dei loro diritti. Dobbiamo essere capaci di dare una risposta solidale e fraterna. Chi viene porta con sé anche la propria cultura. Ci troviamo davanti alla prospettiva della costruzione di una società multiculturale. Come dobbiamo lottare contro il razzismo così dobbiamo però oggi lottare anche contro un atteggiamento che, in nome del multiculturalismo, vuole negare la nostra storia e la nostra cultura. Esiste un legame storico fra la nostra terra e la nostra cultura, che è umanista e cristiana. Chi viene deve riconoscere ed accettare questo legame. Chiediamo a chi viene di riconoscere e rispettare la nostra cultura, la nostra storia e la nostra religione. E’ assurda l’idea che uomini di religione differente possano convivere in uno spazio senza cultura e senza religione, è assurdo che si consideri il crocefisso nelle scuole come una offesa alla cultura degli immigrati. In modo particolare l’immigrazione islamica, che ha una forte identità culturale e religiosa, ci costringe a ripensare la nostra identità come popolo. Il dialogo fra le identità è possibile. Quello che non è possibile è il dialogo fra una identità ed un vuoto di identità, fra un islam convinto di se stesso e dei propri valori ed una società occidentale che si vergogna della sua identità cristiana. La società culturale va costruita con pazienza, fermezza ed amore. Vi sono società multiculturali riuscite, in cui si vive nella armonia e nel rispetto reciproci, e società multiculturali fallite, attraversate da conflitti insanabili. L’Italia non potrà vincere la sfida della società multiculturale se non saprà recuperare coraggiosamente le proprie radici cristiane.

Abbiamo cercato di proporre, secondo l’insegnamento conciliare, una lettura dei segni del nostro tempo. Lo abbiamo fatto, naturalmente, a partire dalla nostra posizione di cristiani impegnati in politica rivolgendoci ad altri cristiani, non necessariamente coincidenti con noi nella visione politica, ma animati dalla medesima fede e speranza religiosa. Qui, oggi, ciascuno è presente a titolo personale, portando la ricchezza della propria esperienza umana formata dalla propria appartenenza ecclesiale. L’Italia vive un forte momento di crisi, culturale, umana e politica. Crisi è parola che viene dal greco. Krinein significa passare al setaccio, decidere cosa mantenere e cosa abbandonare del proprio passato. La crisi è dunque il luogo di una nuova decisione e della ridefinizione della propria identità. Noi siamo convinti che da questa crisi non si uscirà senza un profondo rinnovamento spirituale che deve investire anche la politica. Siamo convinti che sia necessaria per l’Italia una nuova politica. Corriamo il rischio di perdere i valori che stanno alla base della Costituzione repubblicana, primo fra tutti quello della persona umana, che è libera ma fatta per la verità e per l’amore, fatta per costruire comunità attraverso un libero dono di sé. Rischiamo di smarrire questa idea guida e di ritrovarci in una società in cui esistono solo gli individui isolati e le masse controllate dal potere. Parte essenziale di questa crisi è la crisi dei partiti politici, sempre meno strumenti di effettiva partecipazione e sempre più strutture al seguito di un capo fatte per conquistare il potere e ripartirne i benefici. Noi ci domandiamo dove sia una riserva di energie morali che possano alimentare la politica, restituirle dignità e dimensione ideale di impegno al servizio del bene comune. Ci sembra che la più grande riserva di queste energie di bene sia in Italia il popolo cristiano. Usiamo questa espressione e non quella di mondo cattolico perché sono con noi tanti cattolici, ma anche alcuni protestanti. Crediamo che anche gli ebrei su questo terreno dell’impegno sociale abbiano con noi delle straordinarie coincidenze più ancora che affinità. E ci sono tanti infine che sono comunque sensibili ai valori cristiani. Occorre che questo popolo impari a superare le sue diffidenze verso la politica vedendola come un aspetto della vocazione del cristiano nel mondo. Dobbiamo però dire anche che la diffidenza del popolo cristiano verso la politica non è ingiustificata. Si dice “la politica è una cosa sporca”. Davanti a tanti esempi di immoralità, di corruzione, di faziosità, di tradimento dei valori dati dalla politica, come è possibile negare che in quell’ amaro giudizio ci sia molta verità? Per questo è necessario che chi fa politica ed i partiti siano disponibili a rimettersi in discussione, ad aprire le loro porte, a riformarsi profondamente. Noi vogliamo intraprendere questo cammino di riforma e di cambiamento. La vita cristiana è sempre un cammino di conversione e deve esserlo anche per la politica.
Sappiamo che l’unità dei cattolici non è un dogma e non pretendiamo affatto il monopolio né del dialogo con il popolo cristiano né della riforma della politica. Conosciamo altri cristiani che fanno politica, li stimiamo e lavoriamo su molte questioni decisive fianco a fianco con essi. Saremo lieti se altre forze politiche apriranno anch’esse un confronto con il popolo cristiano sul tema del rinnovamento della politica. Intanto cominciamo a farlo noi, con convinzione e con energia. Un ambito sul quale il rapporto deve essere, a nostro avviso, particolarmente forte è quello della formazione . Abbiamo bisogno di formazione politica. E abbiamo bisogno che questa formazione politica sia fondata su di una previa fondamentale formazione cristiana. E abbiamo bisogno di dare al paese una nuova classe dirigente, cambiando i metodi della sua formazione e della sua selezione.
Ci stimola la parola di Benedetto XVI che più volte in questi ultimi tempi, ed in modo particolare nel discorso di Cagliari, ha chiesto ai cristiani una nuova assunzione di responsabilità nella vita del paese. Quello di Loreto, oggi, vuole essere l’inizio della nostra risposta.

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