Il giornalista catanzarese Luigi Guzzo, in “Istanze di Liberazione nella comunità ecclesiale italiana” (Editoriale Progetto 2000, Cosenza, 2013), torna a temi che, si può dire, connotino piuttosto efficacemente la sua propensione allo studio del Cattolicesimo.
Il volume, benché strutturato come una vivace miscellanea di saggi, ha un proprio filo conduttore (dichiarato nel titolo) e tra i propri capitoli più interessanti una rapida analisi su personaggi importanti nel Cattolicesimo italiano e una nota critica su quella linea teologica, ermeneutica e sociale, che è definita correntemente “teologia della Liberazione”.
Quanto al primo ambito tematico, Guzzo si premura di non avallare il Cristianesimo del dissenso (espressione d’uso e difficile contenuto), curandosi, però, di recuperarne alcuni aspetti e personaggi. Prevale, insomma, una visione conciliativa che mira a creare una sorta di orizzonte comune, di memoria condivisa, tra le diverse sensibilità di un Cattolicesimo sociale inquieto, introspettivo nella propria riflessione e impegnato nella propria azione. Il risultato è una selezione di testimonianze di interesse, non sempre riconducibili a quel “pensiero comune” richiamato nel paragrafo di riferimento e però di capacità suggestiva. Si parla di David Maria Turoldo (che ci piacerebbe riscoprire da poeta, “collega” di ricerca linguistica con Zanzotto), si ricorda la figura di Ernesto Balducci, meritorio “profeta”, pur spesso dimenticato dall’annalistica ufficiale, poco pronta al suo umanesimo planetario che è anche cedimento e presa d’atto delle culture maggioritarie, che si spogliano nell’accoglienza di quelle minoritarie. Limitati riferimenti a figure femminili, pur presenti e decisive nello svolgersi ecclesiale (Adriana Zarri). Si legge di Lorenzo Milani e di Carlo Maria Martini. C’è spazio per una riflessione su Pino Puglisi, spesso abusato da letture esclusivamente repressive del fenomeno extralegale (proprio Puglisi, persona del dialogo, dell’avvicinamento, della missione, senza veti censitari e di classe) e vengono colti i nodi problematici di queste figure nell’attualità italiana.
Con una simile e riuscita galleria di voci, Guzzo sembra tenere in egual conto il Cattolicesimo democratico e il Cristianesimo di base, per quanto sia sin troppo ovvio sostenere che le due prospettive presentino anche enormi differenze posizionali. Anzi, se si può notare una stringatezza espositiva dettata dalla godibile brevità, è che bisognerebbe sottolineare quanto simili prassi ecclesiali siano state nei fatti anche enormemente divergenti. Il Cattolicesimo democratico, ad alterne fortune, comunque riscattato a un disegno unitario dell’impegno cattolico nella società civile italiana; il Cristianesimo di base, invece, come fenomeno fortemente coesivo, critico e relazionale, troppo spesso espunto dall’album di famiglia delle buone abitudini. Spesso a decretare la fortuna di un teologo è un test di compatibilità dei suoi lettori, rispetto alle inibizioni del pensiero unico e del diffusamente accetto.
Giuseppe Dossetti, figura a cui il libro dedica belle pagine, è l’antecedente storico-teorico di questa possibile divisione concettuale; come molta parte della cultura progressista in Italia rischia di interpretare il lascito costituzionale quale dogma di conservazione del sistema e difesa acritica di un equilibrio socio-giuridico profondamente mutato (in peggio, sinceramente), così il Cattolicesimo italiano più attento alle istanze civili rischia di vedere nel Concilio Vaticano II la fonte unica della propria legittimazione, il promesso nuovo giorno mai portato a compimento. Ci si permette, allora, di dire che fare di una fonte normativa il simbolo di una battaglia culturale è operazione che spesso taglia i ponti con la difficile materialità del presente, anche perché, in definitiva, quando si ritiene che basti un testo ad orientarci, il più giusto, il più savio, il più equo, sarà quello che detiene il monopolio interpretativo (l’egemonia culturale?) su quel testo normativo. Non è ciò un’eccessiva coloritura, pare di potere concludere, né particolare efficacia ricostruttiva, quanto piuttosto inevitabile constatazione.
Per nostra fortuna (nostra salus?), principi costituzionali e valori evangelici non si sovrappongono né si confondono. Più banalmente, la Costituzione non è Vangelo, il Vangelo non è Costituzione (come dire a un kurdo, a un egiziano, a un bosniaco o a un serbo… che non è costituzionale?).
Guzzo, invece, riesce a liberarsi dalle visioni ipostatizzate, sia del Concilio che della Costituzione e dimostra una rara predisposizione a misurarsi con temi di più larga portata internazionale. Come detto, il secondo punto tematico di pregio nel libro è costituito dall’analisi della teologia della Liberazione. Le aspettative che suscita il Pontificato di Francesco sono lì a dimostrare quanta voglia ci sia di riscoprire umanità e pace. In nome di questo, cresce la fascinazione (speriamo, non la sbornia) per le teologie sudamericane, ma non tutte hanno costituito “liberazione”, anzi molte d’esse l’hanno apertamente avversata. È pagina triste dei nostri tempi la marginalizzazione di quella “scuola” teologica, nient’affatto innocua “nouvelle vague”, ma per decenni parte lesa di un contenimento non solo ermeneutico (e sarebbe il meno!), ma etico, politico, nei casi peggiori persino fisico.
Perciò Guzzo si fa genuino testimone di una vera voglia di cambiamento, supportata anche da una metodologia pluralista e misurata, pure ove questo diffuso sentire rischi di essere apertamente strumentalizzato in dichiarazioni ireniche e manierate che lasciano Lazzaro a morire ed Epulone nella crapula (richiamandoci all’evocativo capitolo conclusivo del testo). Non sarà un Epulone politicamente corretto a salvare il mondo, ma il piccolo mendico che con l’arte, l’amore e la sete di giustizia finalmente spezza la catena e distribuisce alla mensa.
Domenico Bilotti