L’aborto e il linguaggio improprio di Marco Tarquinio

“Ho scritto che «può far male anche alla donna» che sceglie l’aborto, perché prima di tutto è certo che fa male al bimbo non nato. Perché «uccide il figlio nel grembo». L’unica frase del manifesto che lei, sindaco Gori, non cita nella lettera, e che – me ne rendo conto – è durissima da scrivere o anche solo da dire, ma che è vera. Il bambino o la bambina che non nasceranno più sono in una condizione nella quale ognuno di noi è stato. E non sono “nulla”.
Sono alcune righe della risposta che il direttore di Avvenire dà al sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. Ovviamente, almeno credo, Marco Tarquinio non si rende conto di usare un linguaggio improprio, né si rende conto che anche la frase del manifesto fatto rimuovere da Giorgio Gori è impropria. “Bimbo non nato”, sta al posto del termine giusto, vale a dire “embrione”. Il maggiore effetto, però, è ottenuto: l’immagine che si presenta nella mente del lettore non è quella dell’embrione, ma quella di un bambino. Le parole più false e più crudeli ad un tempo verso la donna che abortisce, magari per disperazione, sono contenute nella frase del manifesto: “Uccide il figlio nel grembo”. Caino, mosso da profondo rancore verso Abele, lo uccide con mezzi violenti. Questo di norma s’intende per uccidere. E l’embrione sino a che è embrione non può essere definito figlio. Un seme non è un albero, le fondamenta di un palazzo non sono un palazzo, l’uovo di una rondine non è una rondine.
Detto questo, preciso a scanso di fraintendimenti, che ritengo l’aborto un male e non un bene. Purtroppo alle volte siamo costretti a compierlo il male. Alle volte l’aborto diventa una sorta di legittima difesa.
Renato Pierri

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