FORLANINI DI ROMA

Il patrimonio pubblico come fastidio. Leggo in questa chiave, non ce n’è un’altra, e seguo con molto disappunto la polemica sugli ospedali storici che, complice il risveglio delle coscienze in materia di nosocomi dismessi causato dalla pandemia di coronavirus, in questi giorni, a Roma, oppone con toni accesi i resti della destra a quelli della sinistra (ormai categorie archeologiche) ma li vede solidali nel cercare di tirare dentro a tutti i costi anche l’incolpevole Sindaco M5S.
La veemenza e l’ipocrisia di certe prese di posizione non possono e non devono, però, oscurare i fatti. Prendiamo il caso dell’ex ospedale “Carlo Forlanini”. Senza essere uno storico, è sufficiente accostare la cronologia delle sindacature capitoline e delle presidenze regionali destra/sinistra alle date chiave della progressiva dismissione del Forlanini per capire che la sua deriva inesorabile non è frutto del caso. È il risultato di un’insofferenza, condivisa trasversalmente, nei confronti della gestione e dell’idea stessa di avere e dover esercitare delle responsabilità verso un complesso di grande pregio storico-artistico e naturalistico, sentimento che tuttavia ha i propri campioni niente affatto segreti, gli stessi che nella seduta di Giunta Regionale del 10 dicembre 2019 hanno approvato l’accordo stretto dal Governo italiano con il Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD) e con il Programma alimentare mondiale (WFP), a margine del quale l’ex ospedale “Forlanini” potrebbe diventare il quartiere genarle delle due sigle citate e “spazio ufficio per altre entità ONU ed Organizzazioni Internazionali situate in Roma”.
Obiettare alle critiche mosse alla Giunta Zingaretti che i suddetti beneficiari non sono O.N.G. è un mero tentativo di spostare l’attenzione dal tema vero. E il tema vero è l’avvenuta sdemanializzazione del “Forlanini”, con una possibile riconversione non a fini esclusivamente o eminentemente socio-sanitari, come richiesto da moltissimi cittadini e associazioni e come consentito dalla destinazione urbanistica dell’area, da PRC, a “Servizi pubblici di livello urbano”, invocata dalla Regione stessa per giustificare persino davanti al TAR Lazio, nel 2017, e farsi dare ragione, l’iter amministrativo di una presunta Cittadella della Pubblica Amministrazione nell’ex ospedale, ma l’allegra rinuncia alla titolarità di un bene demaniale per non dover fare fronte agli obblighi di gestione che, come da sentenza della Corte di Cassazione n. 3665 del 2011, sono anche quelli di assicurare alla collettività “la concreta possibilità di fruizione” dei beni stessi.
Da qui l’ipotesi di un demenziale smembramento del celebre Istituto sanatoriale “Carlo Forlanini” che, snaturato completamente in nome della “valorizzazione del complesso immobiliare”, sarebbe riconvertito ad ostello per encomiabili organizzazioni internazionali il cui ingresso nell’ex ospedale, però, c’è da giurarci, comporterebbe una blindatura dello stesso con estromissione definitiva dei cittadini paragonabile a quella del palazzo della FAO e delle altre sedi di organismi analoghi, giustificato da ovvie ragioni di sicurezza.
Mi chiedo, con stizzito rammarico, quando questo Paese smetterà di vergognarsi della propria storia e di volerla rimuovere, sentimento meschino che rivela una consapevolezza della propria miseria in confronto al passato che non è stimolo per migliorarsi ma stallo e negazione d’identità. L’urne dei forti hanno smesso da tempo di accendere a egregie cose animi che di forte non hanno più nulla.

Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Cultura)

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