Non c’è dubbio che l’adolescenza sia un pezzo di strada tra le più impervie, ma diventa un pezzo di abisso quando vengono a mancare segnalazioni importanti e luci di emergenza ben visibili. Quando viene meno il dovuto rispetto per le regole e gli esempi autorevoli da seguire, i quali non impongono autoritariamente il comando del divieto a transitare, ma obbligano alla riflessione come vera e propria salvavita. Chiaramente gli accadimenti tragici che sovente impattano con il mondo giovanile costringono a fare una pausa, a fermarsi, ad arrestarsi sul limite della realtà che ci circonda, che non è quella virtuale da cui è sempre possibile resettarsi, ma la realtà che sta a sostanza delle cose che ci fanno vivere e non sopravvivere la vita. In questo tragitto accidentato c’è a fare da ponte la famiglia, la scuola, quelle agenzie educative che stanno a segmento profondo di ogni educazione, attenzione e cura dei giorni che trascorrono e di quelli che ancora debbono tracciare i metri di storia di ognuno e di ciascuno, tenendo bene a mente che quelli che passano non ritornano più, per cui sarebbe buona cosa imparare a spenderli al meglio prima per non soffocare di rimpianti poi. Quando ascolto un ragazzino, una ragazzina, che danno l’impressione di voler esser famosi per forza, mi accorgo che sotto il primo strato di menefreghismo, di sfida all’autorità, in quel non mi fido di nessuno, si nasconde in maniera del tutto inappropriata, la solitudine, per cui occorre correre all’impazzata per evitare di farci i conti, e in questa società mordi e fuggi, ogni azione è accelerata al punto da non consentire di intravedere l’uscita di emergenza. In questo spettacolo circense, il mondo adulto sta nel mezzo dell’arena, frustando a destra e a manca, peggio, imbonendo l’uno e l’altro senza vergogna, come se non esistessero i tanti pezzetti di noi stessi sparsi all’intorno. Quando i giovani stanno irreggimentati a pesi inopportuni, a zavorra inascoltata, lanciano segnali di irrequietezza, di ribellismo senza premeditazione, di incapacità a sostenere quella solitudine, ebbene, la risposta è la bacchettata risolvi tutto, la sospensione, la punizione dell’impazienza che detta la mossa preventiva e non la pazienza della speranza che traccia la possibilità di tirare fuori il meglio, insieme, quale radice profonda che alberga in ogni grande e autorevole educatore, genitore, conduttore, professore. In questa frenesia interventista, che etichetta e addita senza appello, sta allo scoperto, il pericolo di esporre i più vulnerabili al castigo senza per questo aver compreso la responsabilità di averlo provocato. Il mondo adulto, genitoriale, professorale, che conosce il carico del dolore, della ferita, dell’ingiustizia, quando si tratta di giovanissimi sarebbe buona cosa non permettesse mai a sua volta di crearne ad altri.