Nel gradevole spazio all’aperto del Teatro Marconi, Giuseppe Manfridi ha interpretato e diretto il suo testo “Roma Liverpool 1-1”, il racconto di una memorabile finale di coppa che diventa uno spicchio di epica che illumina la scena. La modalità epica, si sa, è ormai usurpata dalla narrazione sportiva, che spesso non disdegna proprio quel tipo di sintassi: ma qui siamo addirittura al di là della semplice cronaca di un evento sportivo. Il titolo stesso della pièce non rende giustizia per intero allo svolgimento del racconto. Il focus è tutto apparentemente incentrato sulla celebre finale della Coppa dei Campioni del 30 maggio 1984, quella persa ai rigori dalla Roma contro i più titolati campioni del Liverpool, ma il racconto conosce digressioni colte, si impenna sopra ricordi personali esilaranti, incrocia personaggi e storie consegnati a una memoria sfuocata, lutti non ancora elaborati dalla comunità sportiva, tra tutti quelli del mitico Agostino Di Bartolomei. Ma il passo epico non arretra mai di fronte al più piccolo e insignificante dei dettagli, come il racconto della fila al botteghino per assicurarsi i biglietti della storica finale, o dell’improbabile tentativo di coinvolgimento emotivo di un’ambita ragazza milanese, del tutto esente dal calore sportivo. E così il catino dell’Olimpico, dove fu disputata quella storica finale, viene accostato al teatro di Epidauro, le squadre in campo alle schiere di greci e di troiani che assistono alla sfida omerica tra Achille ed Ettore, la prosa stentorea del cronista sportivo (nella specie il “mitico” Bruno Pizzul) a quella di un cantore, prezioso dispensatore di vocaboli desueti. C’è il tempo della tenerezza dentro questa narrazione, per quel tanto di ridotto e di sommario che faceva parte delle nostre recentissime vicende umane, povere di quella diligenza digitale che ci avrebbe in breve resi incapaci di comprendere l’ora semplicemente alzando lo sguardo verso il sole o di ricordare un evento, senza il sostegno di wikipedia. Ma, come nelle narrazioni emotivamente coinvolgenti, c’è il tempo anche per l’annotazione gustosa, che cerca il riso dello spettatore, trovandolo con facilità nella scelta di ricordare piccoli momenti di quel passato che sembra infinitamente più lontano dei 33 anni contati dal calendario. A fine spettacolo si ha la sensazione di esser stati invitati in una casa aristocratica, dove la cena è stata servita con stoviglie di valore, rimesse via in fretta, per lasciarci dentro un presente dove epica e mito non riescono più a farsi largo. Manfridi attore, solo sulla scena, al netto pressoché totale di scenografia (solo una “fedele e supponente” vestaglia con la quale ci regala gustosi quadretti extra testo) riesce a coinvolgere il suo pubblico per quasi due ore, con l’omaggio finale di una breve sintesi della partita così magnificamente raccontata. Questa sera, ore 20,45, si replica nello stesso spazio, ma stavolta all’interno del teatro. Visione consigliata per tutti, anche per chi, come la scrivente, non ama e non segue il calcio. Ma le leggende sì.