“Il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace. Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l'odio e la violenza», queste le parole di Papa Francesco a Nairobi. Giustissime parole, ma sarebbe opportuno andare anche oltre: il santo nome di Dio non deve mai essere usato per giustificare non solo odio e violenza, ma anche la più piccola ingiustizia. Così la Chiesa si renderebbe conto che in nome di Dio non si può negare l’eucaristia ai divorziati risposati, in ogni caso, anche se la Chiesa non riconosce la nullità del matrimonio. Si renderebbe conto che in nome di Dio non si può scrivere nel Catechismo che gli omosessuali sono chiamati alla castità, il che per gli omosessuali significa astinenza per tutta la vita dall’esercizio della sessualità. Si renderebbe conto, la Chiesa, che in nome di Dio non si può essere contrari al matrimonio di persone dello stesso sesso. Si renderebbe conto, la Chiesa, che in nome di Dio non si può essere contrari all’eutanasia, qualora la morte sia invocata da malati terminali senza speranza alcuna di guarigione. Si renderebbe conto che non si può, in nome di Dio, essere sempre contrari all’aborto, anche in casi di estrema necessità. Si renderebbe conto, infine, la Chiesa, che in nome di Dio, e andando contro la ragione e il senso di giustizia, non si può negare alle donne l’accesso al ministero sacerdotale. Se la Chiesa avesse da sempre osservato questo principio, che in nome di Dio non si può commettere neppure la più piccola delle ingiustizie, non avrebbe fatto nel passato errori da lei stessa riconosciuti e non continuerebbe a commetterne oggi.
Carmelo Dini