Se prendiamo un vocabolario italiano noteremo come la nostra lingua conta oltre 140.000 voci. Pertanto sarebbe opportuno usarle.
Quindi, anziché parlare di Jobs Act, usiamo il termine di piano per il lavoro,più comprensibile a tutti.
Il lavoro è certamente l’emergenza italiana numero uno. I dati lo confermano:sono 3 milioni e mezzo i disoccupati,il tasso di disoccupazione giovanile è di oltre il 40% mentre quello nazionale si attesta intorno al 13% raggiungendo un livello che ci riporta nientemeno che al 1978.
Certamente non è attraverso una ulteriore regolamentazione del mercato del lavoro,già ipertrofico di norme,che si crea occupazione.
La si crea, al contrario, investendo per esempio in infrastrutture:autostrade,ferrovie,porti e aeroporti,trasporti pubblici.
L’obiettivo lodevole del piano per il lavoro,secondo le intenzioni dei suoi sostenitori,era quello di superare il dualismo,oggi esistente fra lavoratori garantiti e non.
Dualismo che permane alla luce di questo nuovo intervento legislativo che introduce uno spartiacque tra assunti prima del 2015, provvisti di tutela reale(reintegrazione prevista dall’art.18 dello Statuto dei lavoratori)e dopo il 2015, che non la hanno.
Vi è poi una questione non di poco conto ,che attiene a quanto previsto dall’articolo 3 della nostra Costituzione, che dispone che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge.
Ebbene, quanto stabilito dalla nostra Carta fondamentale viene disatteso alla luce di questo nuovo intervento legislativo,in quanto all’interno di una stessa azienda si avranno lavoratori provvisti di garanzie e nuovi assunti sprovvisti, con il rischio altamente concreto di scatenare una conflittualità tra lavoratori in ambienti già difficili come gli uffici, dove si dispiegano le peggiori dinamiche umane. Introducendo così una nuova forma di discriminazione oltre a ineludibili e inevitabili dubbi di legittimità costituzionale.
Il fine del piano ,secondo alcuni suoi alfieri,è il superamento di ogni forma di garantismo del posto di lavoro perché ciò costituisce un pesante fattore di inibizione per le nuove assunzioni.
Ai lettori il commento sul fine del provvedimento legislativo.
Senza contare che alcune simulazioni effettuate e pubblicate qualche tempo fa sui principali giornali evidenziano come gli incentivi previsti per i datori di lavoro intenzionati ad assumere,tra sconti Irap permanenti e sconti sui contributi previdenziali per i nuovi assunti,sono assai cospicui(con un tetto a 8000 euro annui),mentre l’esborso dovuto in caso di licenziamento illegittimo- ora che l’articolo 18 di fatto non esiste più – è davvero risibile. Una mensilità e mezzo per anno lavorato secondo l’ipotesi più accreditata, ma le associazioni imprenditoriali puntano a meno.
Riassumendo: le imprese guadagnerebbero molto ad assumere per incamerare gli incentivi statali e molto a licenziare liberandosi così dal tenere un lavoratore in pianta stabile con evidenti maggiori costi. Insomma porte girevoli e avanti con una nuova assunzione.
E’ l’effetto paradossale del piano per il lavoro che ha le stesse motivazioni, sebbene celate alla luce di quanto esposto, dei contratti a termine.
Con una differenza:il modello vagheggiato dal piano per il lavoro di flexsecurity(strategia politica che si propone di favorire,nello stesso tempo,la flessibilità del mercato del lavoro e la sicurezza sociale)funziona in altri Paesi,dove chi perde il posto di lavoro lo ritrova grazie a politiche statali attive finalizzate a questo, ma non in Italia, che ha un mercato del lavoro tra i peggiori d’Europa per numero di occupati e per reali opportunità di accesso ad esso.
Concludendo, i lavoratori sono trattati come pacchi:lavori uno,due,tre anni poi ti licenzio,ci guadagno e ne assumo un altro.
E così via. Alla faccia della riforma di sinistra fatta da un governo di sinistra.
Ma il Pd è di sinistra? Ai lettori la risposta.
Più che le tutele a crescere(il piano per il lavoro è incentrato sul contratto a tutele crescenti)saranno i disoccupati a crescere.
Purtroppo.