Perché la Chiesa pretende di stabilire che cosa è dignitoso o non dignitoso?

A mio parere davanti a queste tragedie: la diagnosi di un cancro al cervello che non perdona e la decisione di anticipare una morte certa, la cosa migliore sarebbe non parlare, e soprattutto evitare di esprimere giudizi. Ma questo non accade, anche perché la notizia è stata data dalla stessa persona malata senza speranza. Allora forse sarebbe opportuno, per rispetto verso la persona che ha preso quella decisione, di tenere per sé i giudizi di disapprovazione. Ed invece il giudizio di disapprovazione è giunto dal Vaticano: “Non è stata morte con dignità”. Trascrivo qui alcune definizioni del termine “dignità” desunte da noti dizionari: “Considerazione in cui l'uomo tiene se stesso e che si traduce in un comportamento responsabile, misurato, equilibrato (Sabatini – Coletti). “Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso” (Treccani). “Nobiltà morale che deriva all’uomo dalla sua natura, dalle sue qualità, e insieme rispetto che egli ha di sé e suscita negli altri in virtù di questa sua condizione” (Garzanti). Ora, mi sembra chiaro che la dignità che riguarda la propria persona, la “considerazione in cui l’uomo tiene se stesso”, è soprattutto un valore soggettivo. Perché dunque la Chiesa pretende di stabilire che cosa è dignitoso o non dignitoso per una persona?

Elisa Merlo

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