Trascrivo alcune righe della notizia riportata da Affaritaliani del 19 settembre: “E' nato dopo 5 mesi di gestazione, pesando solo 900 grammi, e, a seguito di un’emorragia al cervello, sicuramente soffrirà di un grave handicap. Questo il dramma di Titouan, neonato a Poitiers, in Francia, che da giorni ha scatenato il dibattito anche in Italia. I genitori, originari di Saintes, avevano subito chiesto ai medici di interrompere le cure che tengono in vita il loro bambino, accusandoli di “accanimento terapeutico… La decisione dei medici, affidata a un collegio etico, è arrivata nella serata di giovedì dopo che le condizioni del piccolo si sono ulteriormente peggiorate”. I medici hanno sospeso le cure, e il bambino è deceduto. Hanno fatto bene? Hanno fatto male? Problema delicato, delicatissimo, e per questo non capisco coloro che prontamente e alle volte ferocemente si schierano da una parte o dall’altra. Chi considera medici e genitori del piccolo alla stregua di assassini, e chi invece pensa che in fondo abbiano agito non contro il bambino ma a suo favore. Io credo che ci si assuma sempre una grande responsabilità, qualsiasi decisone si prenda. Mi pare, però, che non sia giusto volere in vita il bambino, perché così vuole la religione, oppure perché così vogliono milioni di persone, o per evitare d’essere mal giudicati, o per assecondare il principio della vita a tutti i costi. Sarebbe un’ipocrisia. Si vuole un bambino perché lo si vuole, perché si pensa di poterlo rendere felice, perché si pensa di non regalargli una vita di sofferenza sin da quando è ancora in fasce, perché si è persuasi, infine, che sia lui a voler vivere. Già. E se invece fosse proprio lui a non voler vivere? Se tenerlo in vita con apparecchiature sofisticate, significasse fargli violenza? Problema delicato, delicatissimo, e forse schierarsi prontamente e alle volte ferocemente da una parte o dall’altra, non giova alla sua soluzione.
Veronica Tussi
