RICORDARE INDRO MONTANELLI

Sala gremita lo scorso 15 luglio, nella sede romana di eCampus (università telematica). Occasione speciale per ricordare Indro Montanelli a 13 anni dalla scomparsa; giornalista di ormai italiana antonomasia, esempio di dedizione e sacrificio, tanto da essere così stimato ma anche così fortemente criticato. L’occasione, ricca di aneddoti, è stata la presentazione del libro di Paolo Di Paolo, Tutte le speranze: Montanelli raccontato da chi non c’era, edito da Rizzoli. Presenti in sala Anna Maria Greco, in veste di moderatrice e giornalista de Il Giornale, Valeria Noli, responsabile de L’Indro media partner, l’autore, Paolo Gambescia, Paolo Mazzanti, direttore dell’agenzia TM news, Giancarlo Mazzuca, direttore de Il Giorno, Gabriele Paci e Marco Travaglio, condirettore de Il Fatto Quotidiano. Unanime è stato il positivo giudizio sul libro, poiché ha rilevato la sua struttura a ritroso, fino ad arrivare alla nascita di Montanelli, il lontano 1909. Per l’autore, giovane giornalista e finalista del Premio Strega con Mandami tanta vita ed. Feltrinelli nel 2013, è stato come essere preda di un sogno, non voleva scrivere una biografia poiché ce ne sono già molte, ma l’intento è stato di ripercorrere la sua vita, riavvolgendola come in una moviola, poiché quando moriva, Di Paolo approdava alla maggiore età. Era il 22 luglio del 2001 e a Genova, durante il G8, due giorni prima moriva Carlo Giuliani; forte è ancora il ricordo dei tg che sembravano come avere una scaletta ricca di confusione. L’11 settembre era a un passo, come l’avrebbe vissuto Montanelli? Lo colpiva il suo timore di divenire un monumento, coperto da terra di piccioni, ma come non rimanere rapiti quando dietro ai suoi scritti, si scopre la maestosa solitudine, unita alla voglia di mettersi in gioco. L’autore ha poi concluso parlando anche dei contatti con Oriana Fallaci, della loro stima reciproca, ma come tutte le primedonne si scontrarono più di una volta. Come spesso accade, il suo primo libro, XX Battaglione eritreo, fu pubblicato a sua insaputa nel 1936. Nel 2010 è stato ristampato a cura di Angelo Del Boca, unendo l’epistolario dal fronte africano con i suoi genitori. Ricco di illustrazioni, il romanzo merita di essere ricordato, come esempio di letteratura coloniale, inoltre dalla sua lettura si può evincere lo spirito di sacrificio, dovuto anche a quell’istinto che ha poi contraddistinto la sua personalità: scrittura ed esplorazione del mondo come dell’animo umano, riconoscendo anche i propri errori. Tra gli interventi Paolo Mazzanti, ex giornalista de Il Giornale, ha ricordato i suoi inizi come correttore di bozze, evidenziando come Montanelli lo promosse in redazione, insieme ad altri coetanei, dopo circa un anno. Un aspetto che forse pochi ricordano è la sofferenza per le forti depressioni di cui fu vittima fin dalla giovinezza, ma non capace di scalfire la sua assoluta antiretorica e lo sguardo verso i fatti senza illudersi, con forte etica e disinteresse personale. Giancarlo Mazzuca, ha evidenziato i suoi momenti quando era intento a scrivere con la sua “Lettera 22”, e diceva:“basta uno spunto per scrivere un ottimo fondo” ripetendo di “evitare lo scoop, poiché dietro ognuno si sarebbe nascosta la strumentalizzazione”. Marco Travaglio ha evocato il suo terrore per il termine “ideologia”, la sua provenienza da un conservatorismo rurale, il non porsi il problema sull’essere di sinistra o di destra, in lui prevaleva l’aspetto umano, ribadendo come Mazzanti, la sua antiretorica. Tra i suoi scritti meritano le sue Storia d’Italia scritte di sua sola mano, evidenziando poi la sua opposizione ai conformismi del momento e la sensibilità per il conflitto di interessi, che molti oggi non hanno. Il vuoto più grande, per Travaglio, è la sua autorevolezza tale da impedire di sbracarsi, poiché oggi di sbracature se ne vedono tante. Gabriele Paci, capo della redazione romana de La Voce, ne ha ricordato la sua libertà e il suo modo di fare giornalismo, nonché il disinteresse nei riguardi del denaro, poiché fino alla chiusura di questo quotidiano non si era mai interessato della sua previdenza. Interessante anche ascoltare Paolo Gambescia, già direttore de L’Unità, Il Mattino e de Il Messaggero, il quale pur non avendo avuto il piacere di lavorare con lui, è stata una figura cardine, un punto di riferimento, oggi anche culturale. Montanelli non era mai prevedibile, ha vissuto non accettando mai nulla. Spesso Gambescia, pur non condividendo il suo punto di vista, si trovava a fare i conti con ciò che scriveva, riscontrando dai suoi scritti un angolo di visuale che spesso non si era considerato. Le sue cinquanta righe sapevano far scomparire pacchi di giornale che avevi letto in precedenza. Uno dei suoi punti di forza era il potere di sintesi, che faceva innamorare il lettore, con comprensione per qualsiasi livello culturale. Scrivere per lui doveva essere stimolante, senza mai acquietarsi, né accettare quello che si diceva. Una grande mancanza è un tema del giorno, che Montanelli individuava, tale da diventare il focus tra i colleghi, da sviluppare nell’arco di una giornata.
Montanelli anche se non più tra noi, ha dimostrato di intessere, grazie a questo ricordo, una trama della sua vita personale e professionale, in grado di sciogliere quei possibili nodi tra trama ed ordito, tali da resistere bene fino ad oggi, come un tessuto pregiato, che non teme le fugaci mode del momento, da tenere sempre come perfetto campione nonché esempio, davvero difficile da imitare perché autentico, ma non per questo distante; dimostrato anche dai suoi scritti ed editoriali, come le celeberrime Stanze, oggi raccolti in più di una pubblicazione.

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