Il filosofo Umberto Galimberti, su D. n° 162 de La Repubblica del 26 aprile, pubblica il seguente mio articolo: «Santa Gemma Galgani: “Signore mio Gesù, quando le mie labbra si avvicineranno alle tue per baciarti, fammi sentire il tuo fiele…mi disse anche che per premio, perché avevo combattuto assai, baciassi le sue piaghe. Ma per quel poco che avevo passato io, non lo meritavo un premio sì grande. Mi si fece vedere Gesù tutto piaghe, mi fece avvicinare a sé, gliele baciai tutte ; quando fui a quella del costato mi parve di non poter resistere. Come ero contenta!”. (Lettera a monsignor Volpi, settembre 1900). Santa Teresa d’Avila: “Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi sulla sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore tanto da penetrare dentro di me. Il dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l’angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.” (Autobiografia, XXIX, 13). Gemma dopo il “non potere resistere”, è contenta. Teresa dopo l’estrazione della lancia, resta con un grande amore per Dio. Qualcosa di analogo al senso di benessere che insorge al termine di un rapporto sessuale. Se una persona religiosa sposata avesse questo tipo di rapporto col sacro, incorrerebbe nel peccato dell’adulterio. Se nubile, e non sposa di Cristo (non consacrata a Cristo), incorrerebbe nel peccato della fornicazione».
Galimberti sembra non cogliere l’ironia rivolta non alle sante, padronissime di avere il rapporto che desiderano col sacro, bensì alla Chiesa che consiglia la castità, fa fare voto di castità alle monache, esalta la castità, e condanna l’amore sensuale al di fuori del matrimonio. Nella sua risposta, dal titolo “Quando le sante trovano l’estasi”, il professore scrive: “Se concepiamo la sessualità come semplice vicenda di corpi, non dissimile da quella animale, non posso dar torto alle sue osservazioni, se invece ci portiamo all’altezza autentica della sessualità che è oltrepassamento dei limiti dell’io per incontrare l’altro da sé (e questa è propriamente la sessualità umana), allora il linguaggio sessuale è il più idoneo, e forse l’unico a nostra disposizione, per incontrare quell’altro da sé che per i mistici è Dio”. In realtà, le mie osservazioni non cambiano anche portandoci “all’altezza autentica della sessualità”. Ma se fosse vero quanto afferma il filosofo, che il linguaggio sessuale è il più idoneo, e forse l’unico a nostra disposizione, per incontrare quell’altro da sé, allora tutti i mistici, uomini compresi, dovrebbero avere avuto le esperienze delle sante da me citate. E questo non è vero. Ma non converrà dire le cose come stanno riguardo a queste sante? Feuerbach scriveva: «Quanto più viene negato il sensuale, tanto più sensuale è il Dio al quale viene sacrificato il sensuale» (L’essenza del Cristianesimo, Ponte alle Grazie, Firenze 1994, p. 87).
Renato Pierri