La Cina ha un problema con l’olio da cucina che sembra non voler risolvere: produce grandi quantità di olio riciclato, ricavato dagli scarti di ristorante e dalla raschiatura di grondaie o fognature e il suo mercato sembra anche piuttosto fiorente.
Secondo quanto è dato apprendere da alcune inchieste indipendenti effettuate sul territorio del paese asiatico, il disgustoso processo di riciclaggio è intricato; i ristoranti vendono i loro rifiuti agli allevamenti di suini. Lì, viene bollito. L’olio che galleggia in superficie viene venduto ai piccoli produttori di olio e il residuo solido viene utilizzato come mangime per i maiali.
I piccoli produttori vendono l’olio riciclato a grandi produttori i quali poi lo rivendono alle raffinerie. Le raffinerie lavorano il prodotto e lo spacciano nuovamente a ristoranti e supermercati.
L’olio di fogna è una realtà comune in molti settori e livelli della società in Cina. Non lo usano solo piccoli ristoranti e stand gastronomici lungo le strade ma è stato trovato anche nelle mense del Governo e nei prodotti di una grande azienda farmaceutica.
Considerando il fatto che la Cina ha il monopolio di oltre il 90 % del mercato della vitamina C negli Stati Uniti, questo è un fatto allarmante.
Per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, una questione ampiamente sottovalutata anche nei nostri mercati, nonostante il fatto che la presenza sul territorio europeo di prodotti alimentari d’origine cinese costituisce la normalità.
È necessario, quindi, che in primo luogo le istituzioni europee deputate, ne vietino la commercializzazione mentre le autorità sanitarie dovrebbero sin da subito implementare verifiche per constatare l’assenza di beni che contengano quest’olio riciclato e se del caso proibirne immediatamente la vendita anche nei ristoranti o nei negozi alimentari che continuano a commercializzarli.