Lo sappiamo tutti: il nostro sistema è ad un passo dal collasso. Chi finge di non comprendere questa realtà illude se stesso ma, soprattutto, gli altri. In linea d’inizio, sembra che la società si sia adeguata ad irrefrenabili mutamenti. Quanto in negativo è ancora prematuro esprimere un parere univoco. Oggi, ogni soggetto economico e sociale ha maturato l’impegno della sopravvivenza. Il senso del dovere è stato sostituito da quello del sacrificio imposto e, quindi, non sempre accettabile. L’Italia ha perso un’occasione d’essere realmente un grande Paese europeo. Siamo rimasti indietro in tutto e tirare avanti appare sempre più difficile. La nostra attuale realtà non è solo figlia della negligenza politica, ma anche da una sorta di scarsa coesione sociale. La“guerra” tra poveri s’è trasformata in un, logorante, sito d’attesa. Una reazione fatalistica che, purtroppo, è nelle radici di un Paese che s’è sempre meritato i Governi che ha avuto. Quando oltre quattro milioni d’italiani non riescono a trovare un’occupazione, anche a tempo parziale, la dice lunga sulla nostra realtà interna. Non a caso, l’emigrazione è tornata d’attualità. Dal Bel Paese s’allontanano i giovani, ma non solo loro. Proprio per una serie di concause, anche l’interesse alla politica nazionale s’è ridimensionato. Il termine “Politica” s’abbina a quello di“Fastidio” o, in ogni caso, ad una sorta di“Disinteresse”. Gli effetti sono tanto evidenti da farci seriamente riflettere su quello che sarà il futuro della Penisola. I consumi, anche quelli quotidiani, sono precipitati agli albori d’inizio secolo. Il supporto dello Stato non esiste più. Sul fronte della globalizzazione, la nostra competitività è crollata e l’iniziativa, quando è ancora possibile, si rivolge verso altri lidi con economie meno condizionate da un bilancio pubblico indefinibile. Le teorie del “Welfare” restano tali. Inapplicabili in una struttura sociale, com’è la nostra, ancora ancorata alle“tradizioni”, più che alle “innovazioni”. Che, appunto perché tali, non possono produrre da subito riscontri di miglioramento. In fretta, abbiamo raggiunto il punto mortificato di un’economia sempre più internazionale che rigetta gli elementi incapaci di produrre benessere. Le nostre, poche, possibilità restano ancora vincolate ad interessi di categoria politicizzate in modo incoerente. La connessione tra l’”essere” ed il “ sembrare” non esiste più. Dopo l’antagonismo, sin troppo sfruttato, s’è percorsa la strada della personalizzazione del potere con la conseguente affermazione degli effetti improvvisati e mai definitivi. A questo punto, non è facile fare delle previsioni sull’Italia che sarà; anche perché non siamo più in grado di comprendere quella d’adesso. Come abbiamo, più volte, scritto, politica ed economia da noi non riescono a trovare un accordo di convivenza. Ora siamo in una fase di transizione delicata e complessa. Il nostro futuro resta gestito da quel “passato” che vorremmo scrollarci da sopra. Ma senza del quale il “presente” non potrebbe evolversi in “futuro”.Il linguaggio dei numeri non è sufficiente per darci la vera dimensione del nostro stato. Cambiare “registro” è difficile e le“stonature” restano all’ordine del giorno. Purtroppo, non solo quelle.
Giorgio Brignola