Piccinerie di un grande quotidiano

Nel mese di maggio di quest’anno, mi lamentavo con la segreteria di redazione del Il Manifesto, poiché il quotidiano non aveva recensito un mio libro. Ne nasceva una piccola discussione epistolare col redattore delle pagine di cultura, al quale avevo osato dire la verità, vale a dire che spesso (o quasi sempre?) non è il valore di un libro a spingere un giornalista a recensirlo, ma la casa editrice che lo pubblica, le conoscenze dell’autore, e via di seguito. Verità che è sotto gli occhi di tutti. Il redattore però prendeva quella verità come un’offesa. Pazienza. Il fatto è che al Manifesto se la sono legata al dito, e da allora le mie lettere “belle, sensibili, legate a temi d’attualità” (trascrivo le parole della giornalista che cura la rubrica), sono diventate Improvvisamente brutte, insensibili, non legate a temi d’attualità, e inesorabilmente cestinate. Preciso che Il Manifesto pubblicava le mie lettere sin dal 13 ottobre 2004 (“Terrorismo, metodo di lotta”) con una media di un paio o più il mese. Nel mese di maggio, prima della piccola discussione, pubblicava: “Andreotti non andrà in paradiso” (8 maggio 2013); “Tragiche Frivolezze” (10 maggio). La faccenda divertente è che ogni tanto ho inviato lettere “belle e sensibili” con in calce pseudonimi, e quelle sono state pubblicate!

Renato Pierri

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