Storia senza nerbo per curare l’invidia

Dal 9 maggio in tutte le sale, il film: “Mi rifaccio vivo” di Sergio Rubini, con Neri Marcorè, Margherita Buy, Vanessa Incontrada, Lillo, Sergio Rubini, Bob Messini, Gian Marco Tognazzi e Valentina Cervi, è una commedia che parla di invidia e di seconde possibilità.
Scritto dallo stesso Rubini con Umberto Marino e Carla Cavalluzzi è uno slapstick, con più gag fisiche che di sceneggiatura e con tanto di lieto fine.
La storia di Biagio Bianchetti (Lillo) – molto divertente anche se amara e piena di rancore inizialmente per poi virare sulla comprensione, narra di un uomo che fin dai tempi delle elementari ha avuto un rivale, un ragazzino che gli ha fatto ombra dal primo giorno di scuola quando si è seduto al suo banco, per poi proseguire durante la crescita, ovvero, Ottone Di Valerio (Neri Marcorè). Paperino contro Gastone. Uno che fa di tutto per emergere nella vita ma subisce una sconfitta dietro l’altra, e quasi tutte, impartite da un bell’imbusto, figlio di papà, che ha tutte le fortune del mondo. Chiaramente scavando nei retroscena di entrambi le cose non sono così bianche o nere ma Biagio un giorno non ce la fa più e si toglie la vita. Una volta arrivato in un purgatorio, a dir poco surreale, scoprirà che per tutte le ingiustizie subite ha diritto ad un bonus che consiste nel potere tornare sulla Terra per una settimana e cercare di rimediare ai torti subiti… così Biagio si reincarna in Dennis Ruffino (Emilio Solfrizzi), un super manager nelle cui mani Ottone ha consegnato la sua fortuna, in termini soprattutto economici, ma anche la sua vita. E se inizialmente Biagio non vuole che ‘vendetta tremenda vendetta’, con il passare dei giorni si accorgerà che la vita di Ottone non è inossidabile come il suo nome, ed inizierà a capire che se vuole salvare se stesso deve iniziare a comprendere, perdonare e aiutare anche colui che ha considerato da sempre come il suo acerrimo ‘nemico’.
Ai critici, comunque, che l’hanno vista in anteprima non è piaciuta e più che una commedia sofisticata, francese, britannica o americana, è sembrata di più somigliare al’ultimo film di Neri Parenti o a quello film di Pappi Corsicato, “Il Volto di un'altra”, per la banalità della storia e la capacità di costruire situazioni goffe e improbabili che si svolgono in quella classe sociale ricca e agiata a cui sono pochi ad appartenere.
Sicché si è tornato a scrivere che è difficile sostenere questa cinematografia italiana ed anche mettendocela tutta rimane impossibile trovare qualche aspetto per poter dire ai di “andate a vedere questo film”, perché da Rubini e da interpreti di questo livello, l'Italia si aspetta di più.
Distribuito dalla Fandango, Il film è finanziato dal Mibac con 500.000 di euro, ma anche dalla Regione Lazio e Rai Cinema, e a questo punto ci si chiede con quale criterio i membri delle commissioni ministeriali leggano le sceneggiature che, sulla valutazione per il contributo, valgono per circa il 70% del punteggio.
Le risate paiono essere poche e lo sviluppo scontato. Unico motivo di interesse è lo spunto sulla cattiveria e la competizione, che però avrebbero voluto mano migliore e più ispirata.
Niente di paragonabile a commedie sullo stesso tema come “Mean girls” del 2004 di Mark Waters, con grande sceneggiatura di Tina Fey, ex attrice del Saturday Night Live, o “The Necessary Death of Charlie Countryman”, regia di Fredrik Bond, accolto male, ma ingiustamente, alla Brinale 2013.

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