DOPO L’OK DI MONTI AL MONTI-BIS SONO GUAI PER IL PD E LE SUE PRIMARIE.

ORA RENZI SPARIGLI E SI METTA ALLA TESTA DEL “PARTITO CHE NON C’È”

E adesso? Comunque la si voglia giudicare, la studiata (nei tempi e nei modi) uscita americana di Monti circa la sua eventuale disponibilità a ritornare a palazzo Chigi anche nella prossima legislatura – ampiamente anticipata da Terza Repubblica – spiazza prima di tutto il Pd in procinto di primarie. E, paradossalmente, tanto Bersani quanto Renzi. Che non a caso hanno reagito entrambi con malcelata stizza, per una volta ritrovandosi d’accordo.

Ad entrambi vorremmo consigliare, invece, una riflessione sul cosiddetto “Monti-bis”, suggerendo stati d’animo diversi da quelli di chi (il segretario) si sente già presidente del Consiglio e di chi (il rottamatore) si sente il vero e solo beneficiato delle primarie. A giudizio di Società Aperta, infatti, Bersani dovrebbe capire che la strada da lui imboccata lo porta verso due pericoli esiziali, da quali dovrebbe sfuggire come dalla peste. Il primo è insito nelle primarie stesse: lui ha una buona possibilità di vincerle numericamente, ma un’altissima probabilità di perderle politicamente. Perché? Ma il fatto stesso che un outsider come Renzi gli stia dando filo da torcere nella ricerca del consenso interno al partito e alla coalizione e lo sopravanzi nettamente nel più generale giudizio degli italiani, è già la certificazione di una sconfitta politica.

Il secondo pericolo che Bersani corre è insito nella tappa successiva: le elezioni. Il Pd è così sicuro di vincerle? È davvero il beneficiario dell’inevitabile rimbalzo negativo che la vicenda Laziogate avrà sul centro-destra? A parte il rischio che di qui al voto scoppino casi analoghi anche in amministrazioni regionali rette dal Pd, ma bisogna partire dal presupposto che, visto lo stato d’animo degli italiani, il discredito generato dagli scandali tocca l’intera classe politica, senza distinzione alcuna (che oltre la metà degli elettori non è disposta a fare). Ergo, il Pd può anche sopravanzare il Pdl così come il centro-sinistra il centro-destra, ma è assai improbabile che riesca ad ottenere la maggioranza dei seggi in parlamento. E questo sia che rimanga l’attuale legge elettorale (cosa sempre più probabile) – perché chi conquista la Camera quasi sicuramente non ce la fa al Senato – sia che venga riformata, perché occorrerebbe assegnare un premio di maggioranza di almeno il 20%. Allora, non si capisce perché Bersani voglia insistere su una linea che gli fa perdere politicamente le primarie e ben difficilmente lo porta a palazzo Chigi. Mentre il “Monti-bis” sarebbe la quadratura del cerchio: niente più consultazione interna, e dunque riflettori spenti su Renzi, e poi un ruolo da vicepremier nel prossimo governo.

Viceversa, Renzi avrebbe egualmente interesse ad accogliere favorevolmente la disponibilità del Professore a rifare il premier, ma per motivi opposti a quelli del “nemico” Bersani. Il sindaco di Firenze, infatti, le primarie ben difficilmente può vincerle come risultato finale della consultazione, ma politicamente le ha già praticamente vinte fin d’ora. L’ultimo miglio di campagna non gli darebbe più alcuna utilità marginale. Mentre sulla base della forza e visibilità fin qui acquisita, potrebbe giocare a tutto campo sullo scacchiere politico, anche con un ruolo fuori dal Pd. La mossa sarebbe semplice: accantonate le primarie, avrebbe buon gioco a chiamarsi fuori da un partito che lui non sente suo e da cui non viene amato, e creare un nuovo soggetto politico capace di drenare da destra (soprattutto) e da sinistra elettori intenzionati a non ridare più il voto ai vecchi partiti. Paradossalmente, ma non troppo, Renzi potrebbe essere quel soggetto aggregatore del “partito che non c’è” a cui finora nessuno – Udc compresa, purtroppo – è stato capace di dar vita, pur essendo un politico, seppur giovane, e non un esponente della cosiddetta società civile.

Ma di tutto questo, ahinoi, non c’è traccia nel dibattito politico. Un po’ perché erano in molti a credere davvero che Monti sarebbe tornato alla Bocconi al termine di questa esperienza – mostrando di non conoscere per nulla il Professore – e un po’ perché fatica ad entrare nella testa dei politici di lungo corso il fatto che i cittadini non siano più disposti a votarli. In particolare, sembra che nel Pd l’esito delle primarie per i candidati sindaci a Napoli, Milano e Genova non abbia insegnato niente: De Magistris, Pisapia e Doria non sono stati scelti nelle primarie e poi votati dal corpo elettorale perché più a sinistra dei Democratici, ma perché nuovi o comunque, come nel caso del sindaco di Milano, non usurati dalla politica. Dunque, incombe lo spettro di un bis della tragica esperienza di Occhetto del 1994, perché senza un cambio radicale di strategia sarà difficile che la rabbia anti-casta in cerca di sfogo (si fa andar bene persino un comico che non ha smesso di essere tale) risparmi il Pd solo perché negli ultimi anni aveva governato (si fa per dire) Berlusconi. Virata che, peraltro, il Pd deve fare anche sul terreno programmatico, dove mostra lacune e incongruenze mostruose.

Il Pd in questi 10 mesi di governo Monti prima ha detto che il non insistere per andare alle elezioni dopo la caduta di Berlusconi era un atto di responsabilità verso il Paese e che Monti andava sostenuto per evitare la bancarotta, poi ha cominciato a cercare di correggere il tiro della politica economica, salvo accusare di disfattismo il Pdl quelle volte (poche) in cui ha tentato di smarcarsi dal governo. Risultato: così è troppo montiano per chi è contro il rigore, e troppo poco per chi vorrebbe elevare l’agenda Monti a Bibbia. Mentre agli occhi di chi, come noi, ha difeso strenuamente Monti per la discontinuità che ha rappresentato rispetto al fallimentare sistema bipolare ma vorrebbe un coraggioso cambio di passo nei contenuti della politica di risanamento (dal deficit al debito, spending review con riforme strutturali su decentramento e sanità) e nel costruire una politica industriale finalizzata allo sviluppo, il Pd è una grande incompiuta perché non una proposta che non fosse minimamente conservatrice è uscita da quel partito. In questo, cioè sul terreno programmatico, Renzi è più avanti anni luce perché libero da ingessature ideologiche e vecchi riflessi condizionati (per esempio nei confronti di Cgil e Fiom), ma avrebbe bisogno di elaborare un vero “progetto paese” andando oltre la sola evocazione della modernità e dello svecchiamento delle classi dirigenti. In questo senso, dire come ha fatto che non vuole sentir nemmeno parlare di grande coalizione perchè non intende andare al governo con i La Russa senza spiegare come possa riuscire ad andarci senza i Vendola e i Di Pietro, rappresenta un vulnus di non poco conto. Forse giustificato dal fatto che in questo momento sta facendo campagna per le primarie, ma in questo caso a testimonianza che da quella giostra il buon Matteo deve scendere al più presto.
Caro Renzi, dopo lo spariglio di Monti è venuto il momento di dimostrare di essere un vero cavallo di razza con il tuo di spariglio. Il “partito che non c’è” ti aspetta. A braccia aperte.

Analisi e commenti

In allegato troverà l'intervista rilasciata al Giornale di Sicilia dal direttore di Terza Repubblica e presidente di Società Aperta, Enrico Cisnetto, sul tema “federalismo, un fallimento”.

La risalita dello spread
Comprare tempo?
Le mosse della “banda dei quattro” e tre questioni da non sottovalutare a Francoforte
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Federalismo incompiuto
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Libertà di stampa e di opinione
Sallusti oltre Sallusti
Sallusti non andrà in galera. Ma dal suo caso emerge quanto siano contraddittori e strumentalizzabili i rapporti fra potere mediatico, potere giudiziario e potere politico.
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Per ulteriori informazioni, consultate il sito www.societa-aperta.org o scrivete all’indirizzo segreteria@societa-aperta.org

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