Una panchina all’ombra in via Ottaviano a Roma, mi ha fatto gola e mici sono seduta nonostante fosse già occupata da un’arzilla anzianasignora che parlava ad alta voce al cellulare. Ad una certa età siperde un po’d’udito e involontariamente si alza la voce, come se anchela persona che ascolta fosse un po’ sorda. Accento napoletano, tantosimpatico nelle persone istruite. Mi sembrava d’essere di disturbo, maun po’ di stanchezza ha avuto la meglio sulla mia esitazione. E cosìnon ho potuto fare a meno di ascoltare: “C’è un proverbio sia insiciliano che in napoletano… non te lo posso dire perché sono perstrada e ci sono persone vicino”. Dopo un po’, terminata laconversazione, la signora si è alzata e stava per andarsene, ma ioscusandomi le ho chiesto la cortesia di dirmi il proverbio. E lei: “E’un po’ osceno… per rispetto di lei non l’ho detto. Però seinsiste… ”. Ho insistito, e me l’ha detto, in napoletano: “Cumannà èmeglio che fottere”. E mi ha fatto l’esempio di Provenzano che vivevanascosto in solitudine. Io però ho pensato a qualche politico che nonvive nascosto né in solitudine, secondo il quale “Cumannà” è anche unmezzo per fottere.E
lisa Merlo