Il pubblico genoano è tra i più civili in Italia. Alcuni episodi si ricordano a memoria: la compostezza con cui la Gradinata Nord reagì alla morte di “Spagna”, l’ultras ucciso a coltellate in un brutto giorno di troppi anni fa, sollevando un dibattito nel tifo italiano contro l’uso di lame e affini; il modo dignitoso e decoroso con cui il pubblico genovese resistette ad ogni genere di vandalismo e provocazione nella partita contro la Serbia (altrove, sarebbe successo di peggio, come, del resto, molti avevano temuto); l’iniziativa “un euro contro la guerra”, quando per quattro/cinque anni consecutivamente, a dispetto di chiare disposizioni costituzionali e di trattati internazionali, l’immagine della difesa italiana era sistematicamente associata ad interventi come quello nei Balcani, poi Afganistan e poi Iraq; si ricordi pure il diretto impegno di alcuni supporters locali nei comitati e nei collettivi che dopo il G8 del 2001 intrapresero una faticosa “operazione verità”, ancora lungi dal dispiegarsi pienamente (in quei giorni, perì Carlo Giuliani e anche il solo ricordare la circostanza sembra un fastidio, una preoccupazione, un sussulto o poco altro).
È vero: una protesta del tifo organizzato può certamente inibire la fruizione dello spettacolo calcistico agli altri spettatori, nonché suscitare sentimenti di palese preoccupazione nei confronti dei giocatori. Chi scrive ha sentito la radiocronaca delle partite per il solito, interminabile, viaggio autostradale della domenica pomeriggio: il bravo cronista che seguiva gli eventi, non lesinando peraltro delle legittime criticità, ha ripetutamente usato il sintagma “assedio incruento”. Non proprio la definizione a cui ci hanno abituato le domeniche di violenza che pure abbiamo visto nel calcio italiano. Troppa ipocrisia mediatica ci interrogava: tutto questo, dopo la morte di Morosini? Un modo non elegante di collegare due fatti del tutto indipendenti, che peraltro non onora la memoria del bravo centrocampista, morto su un campo di calcio e contraddistinto da un’esistenza recente non priva di lutto e difficoltà (un altro flash: la curva di Pescara che lancia cori a raffica “Sospendete la partita”, prima di ogni decisione ufficiale, e che scappa all’ospedale dietro uno striscione di incitamento al ragazzo).
La maglia calcistica è il simbolo più bistrattato dello sport: il calcio scommesse, l’enorme sperequazione tra gli ingaggi e la disturbante “televisioni-zzazione” di ogni evento sportivo lo offendono di continuo. Esigerne la spoliazione da una squadra che non si ritiene meritevole e all’altezza di quel colore è verosimilmente violento, eccessivo, molto crudo. Ma non è lì da andare a cercare il male del calcio o della sin qui sfortunata annata dei colori genoani…
Domenico Bilotti