L’elaborazione politica del giurista forense e attivista politico Francesco Saverio Merlino si colloca, come una robusta tenaglia, tra i poli più interessanti del movimento operaio in Italia: la tendenza libertaria e quella riformista. Da un lato, infatti, il “primo” Merlino è teorico duttile e rigoroso, al tempo stesso, dell’anarchismo europeo della seconda metà del XIX secolo, spigoloso nella difesa dei principi e contemporaneamente legato alla materialità tangibile dei sistemi di giustizia sociale; dall’altro, il “secondo” Merlino, che, in parte in polemica con l’amico anarchico Malatesta, si definisce “socialista libertario”, getta un ponte significativo con quella corrente della revisione al marxismo che si propone come leva per la massimizzazione delle libertà politiche, senza perder di vista il riconoscimento di massa dei diritti sociali. La ripubblicazione, per i tipi di Rubbettino, di “Pro e contro il socialismo” (1897), nel 2008, a cura di Massimo La Torre, ha contribuito a riproporre la centralità di alcune questioni merliniane nel dibattito sulle sorti della Sinistra e della sua strumentazione teorica in Italia. Come acutamente osservato dal curatore medesimo, non si può ricorrere a “Pro e contro il socialismo” nel modo affrettato con cui gli opposti dogmatismi cercano fonti cui abbeverarsi senza azionare il debito discernimento critico, ma è un fatto che quell’opera, scritta in un preciso scenario politico italiano ed europeo, sia il punto d’avvio di un percorso troppo spesso svalutato dalla accademia istituzionale e dalle mille filiazioni partitiche del movimento operaio, che pochi interpreti dello stesso spessore avrà nei decenni successivi (nel socialista “ortodosso” Ellero, la cui “Tirannide Borghese”, comunque sia, data a quasi due decenni prima, la fascinazione giacobina per i miti plebei si accompagna alla lotta contro le torture, la pena di morte, i sistemi elettorali censitari, la condizione disumanizzante di latifondo, fabbrica e miniera; nel socialista antifascista e antistalinista Caffi la critica allo Stato Nazione è già di pari passo alla rielaborazione costruttiva del mito luddista della lotta alle macchine, come chiaramente dimostrano gli scritti contro il nazismo).
Peraltro, nota La Torre e gli si può ben dar ragione, Francesco Saverio Merlino è “irregolare”, o meglio ancora: innovatore, tanto nella sua militanza anarchica quanto nella sua successiva prossimità al socialismo libertario e liberale; tanto nella sua elaborazione concettuale, quanto nella sua prassi professionale (Turati rifiuta di difendere l’anarchico Bresci, corpo di una figura cara alla mitologia radicale pre-risorgimentale del “regicida”, Merlino, ben meno inquadrabile nei giuochi del correntismo politico, accetta). Perché, nell’anarchismo, respinge senza se e senza ma le derive di puro individualismo, di nichilismo, inteso, ovviamente, come portato di un indifferentismo estremo alle relazioni con l’altro da sé, così come contrasta lo scetticismo aprioristico nei confronti delle organizzazioni operaie impegnate sul fronte della battaglia democratico-rappresentativa: non è abiura dell’astensionismo, semmai è riposizionamento rispetto alle circostanze storico-giuridiche date, dove la lotta all’organizzazione non può darsi come rifiuto sistematico di partecipazione (che differenza con l’altro astensionismo del periodo, pure magari connotato dalla miglior buonafede possibile, quello dell’Opposizione di Sinistra dell’Internazionale!). E Merlino ci si propone anche come innovatore, figura schivata dalla dottrina ufficiale, nella sua teoria del socialismo libertario, nondimeno sul piano dell’economia politica, dove appronta una prospettiva capace di coniugare la libertà del mercato con la destinazione sociale della proprietà -prospettiva assai feconda, dalla quale è possibile criticare il modello del “piano” dell’esperienza marxista-leninista e parimenti le deviazioni applicative ed interpretative che ha subito la nozione misesiana della prasseologia. Incontrare Merlino, dopo più di un secolo, è allora l’incontro con la libertà: il solo fiore che non muore.
Domenico Bilotti