di Alberto Martinelli
la sua esplosione al centro del sistema capitalistico globale e il suo rapidissimo propagarsi dimostrano che essa è la manifestazione traumatica di alcune caratteristiche fondamentali del processo di globalizzazione che si è sviluppato negli ultimi trent’anni e, in particolare, della contraddizione fondamentale tra la crescente interdipendenza economico-finanziaria e la perdurante frammentazione politica (come argomento ampiamente in La democrazia globale, 2008). La finanza globale si è sviluppata a ritmi molto elevati, sfuggendo ai controlli dei governi nazionali anche a causa della generale erosione di sovranità nazionale provocata dai processi di globalizzazione; né i controlli nazionali sono stati rimpiazzati da alcun sistema di sorveglianza internazionale. L’economia globalizzata è un insieme di reti di interdipendenza globale che migliorano l’efficienza e la produttività, ma allo stesso tempo ne acuiscono la vulnerabilità e la fragilità.
La crisi che stiamo vivendo non è certo la fine del capitalismo, ma una accelerazione del cambiamento. Per meglio comprendere le cause della crisi in corso è opportuno rileggere i classici delle scienze sociali (da Adam Smith a Marx, da Schumpeter a Keynes, da Weber a Polanyi), che hanno in vario modo teorizzato la natura intrinsecamente contraddittoria del capitalismo e le sue ricorrenti trasformazioni attraverso processi di distruzione creatrice. La crisi è endogena allo sviluppo, contrariamente a quanto pensano, da un lato, i sostenitori (liberisti e non) del mercato come ordine spontaneo e, dall’altro, i sostenitori (marxisti e non) del crollo inevitabile, (che prima o poi avverrà, perché tempus vincit omnia, ma non avverrà in tempi brevi).
Come ogni crisi strutturale, la crisi modifica profondamente il capitalismo, accelerando la trasformazione prodotta dalla globalizzazione .Cambiano profondamente i rapporti tra le grandi economie emergenti come la Cina, l’India, il Brasile, l’Indonesia, il Messico e i paesi di più antica industrializzazione; tra il 1995 e il 2010 la quota di questi ultimi sul Pil mondiale è scesa dal 65,7% al 57%, mentre la quota dei Bric è salita dal 14,9% al 22,3% e la tendenza si è andata accelerando in anni recenti dati i diversi effetti della crisi. Ciò comporta cambiamenti sia dal lato dell’offerta, soprattutto in virtù del peso crescente che hanno le imprese transnazionali e i fondi sovrani dei paesi emergenti nella economia mondiale, che dal lato della domanda, poiché la riduzione della povertà e la crescita dei ceti medi modifica profondamente la quantità di reddito disponibile, gli stili di vita e i modelli di consumo. Il forte squilibrio che si è creato in questi anni tra paesi risparmiatori ed esportatori come la Cina e paesi consumatori e con grande disavanzo commerciale come gli Stati Uniti dovrà essere ridimensionato. La globalizzazione non ha solo favorito lo sviluppo economico di alcuni grandi paesi, consentito la riduzione del divario con i paesi avanzati, ma ha anche alimentato nuovi divari tra i paesi sviluppati e emergenti, da un lato, e i paesi sottosviluppati dall’altro (si veda in particolare il caso dell’Africa sub-sahariana).
Società Libera online
Newsletter Quindicinale – Anno XII – n. 167
30 gennaio 2012
Il carattere strutturale della crisi
di Alberto Martinelli
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