Il gioco d’azzardo, la nuova droga, non fa notizia, allarme sociale, perché dalla notte dei tempi legato al piacere ludico dell’uomo.
La scommessa allo stremo delle proprie possibilità, finchè la vita diventa una schedina sgualcita, un gratta e vinci lucente, una slot machine incandescente, il vizio non è più un optional, così bere, fumare, giocare, non sono più svaghi temporanei: la botta di adrenalina mette in ginocchio la paura, la follia di una sera diviene il comportamento da vestire, muta in abito mentale che non schioda più dal corpo, dalla mente, dal cuore.
E’ già malattia.
Un amico mi ha chiamato per parlarmi di suo figlio, a suo dire rispettoso nel mantenere relazioni sociali soddisfacenti: ma a strattonare la sequela di belle parole, le buone intenzioni, la presenza rigorosa del bene che lega un padre al proprio figliolo, c’è qualcosa che non è sopportabile.
La scoperta di un intruso che non bussa alla porta, né chiede educatamente di poter fare un passo avanti, pronto a forzare l’uscio senza preavviso, è uno straniero dallo sguardo apparentemente mansueto, di quelli che non fanno paura, e non rendono tumefatti gli zigomi.
Un intruso che dapprima si insinua lentamente, non fa troppo rumore, procede come un omino curioso che scopre territori inesplorati, meravigliandosene, prende posizione, sceglie il luogo e la parte da recitare, acquista fiducia, compra con denaro sonante domicilio e residenza, non intende più andarsene.
Un cattivo compagno di viaggio, non scosta il piede, non dà passo a chi è dietro, testardo rimane ad attendere la prossima giocata, la goccia di sudore fredda come la lama di un pugnale. Sprovvisto di documenti di identità, è ingombrante ma non si fa vedere, non chiama né risponde, sa soltanto rilanciare con le tasche vuote.
Un maledetto intruso abita il cuore di questo ragazzo, una presenza indistinta ma feroce, risoluta a non mollare la chiamata del banco illusoriamente da sbancare, un numero che non esce, un dado che non si ribalta, una carta che non intende accoppiarsi a un’altra.
Un intruso che lavora sottobanco, scava la fossa, racconta un piacere irripetibile divampare nel cervello, e quando il numero tanto atteso è allo scoperto, dentro il sonoro della sconfitta c’è il momento in cui non sì è più capaci di resistere.
Il mio amico è un padre aggrappato all’appiglio più vicino, per tentare di comprendere cosa sta accadendo al suo mondo tirato su con amore e cura, quel suo figlio attore consumato della menzogna mandata a memoria, quel male negato e ostinato che distrugge le relazioni personali, famigliari, lavorative, e quell’intruso sempre lì a manipolare la realtà, la vita messa a soqquadro, i legami d’amore miseramente dispersi.
E’ malattia da curare, prevenire dove possibile, perché è un dolore profondo che non si fa riconoscere facilmente, una sofferenza che non è semplice mettere a tacere, debellare.
Il ragazzo ha bisogno di parlare con uno specialista, con un esperto, con qualcuno che può e deve aiutarlo, ma se non riuscirà a chiedere una mano con franchezza, ci sarà l’inseguimento a perdifiato per tentare di trasformare il destino, mentre i fallimenti saranno grida inascoltate.
Il gioco d’azzardo non è mai parente di un colpo di fortuna, non è strada che consente scappatoie, è malattia che disconosce il diritto di poter scegliere, il dovere di una libertà da rispettare.