di Scipione L’Aquilano
Leggendo continuamente le cronache di ruberie, furberie, malaffare nella gestione della “cosa pubblica” e ultimamente anche del livello umano veramente basso che si è disposti a raggiungere pur di ottenere quel di più, rispetto agli altri, la tentazione di fare come nel domino e far cadere tutti i pezzi è forte per molti. Secondo me tuttavia è in errore chi sostiene che i politici hanno l'esclusiva del malaffare, della corruzione e dell'abuso. Se andiamo a vedere la stragrande maggioranza degli scandali, processi e dossier, ci hanno detto che i vantaggi economici e i benefici non erano solo per ministri, onorevoli o assessori, ma anche per imprenditori, professionisti, funzionari pubblici e privati, alti, medi e bassi gradi della Guardia di Finanza, persino magistrati. E poi ci vogliamo dimenticare delle migliaia di false invalidità? Dei concorsi truccati? Delle baronie nelle università…? Che dire poi delle furberie degli evasori fiscali o degli uffici acquisti delle aziende?
Tutto un campionario di malcostume e illegalità: come si può pensare razionalmente che ci possano essere categorie depositarie del buono e altre solo di disonesti?
La parola stessa suscita diffidenza, e non solo da ieri. «Ho dovuto parlare con un po' di politica, per non dire in pubblico i fatti miei», fa dire a Renzo il Manzoni nei Promessi Sposi, usando la “politica” in quell'accezione che la accomuna a una certa astuzia, alla diplomazia reticente, al dire e non dire. “Simulare e dissimulare” raccomandava l'eterno Machiavelli, padre riconosciuto di questa politica dei secondi fini, inconfessabili e occultati dai discorsi fumosi, dell'intrigo, dell'accomodamento, delle “scorciatoie” per i furbi. Non è questa la politica da elogiare, da sostenere, da insegnare a scuola.
La politica non si può rifiutare perché è nel patrimonio genetico-culturale di ognuno. Potrebbe essere definita “l'arte del civile convivere”. Sì, arte: così la chiamavano i greci, técne politiké, arte politica. Che, in quanto arte, non può prescindere dalla qualità dell'uomo che la pratica. Che si accetti l'homo homini lupus di Hobbes, oppure l'homo homini deus di Locke, gli uomini per uscire dallo stato di natura primitivo hanno concordato un sistema di regole o leggi che permettesse loro di vivere insieme. E la politica, che sembra spesso fatta di chiacchiere, si rende concreta proprio nelle leggi. Queste leggi – riconosciamo a Marx le sue ragioni – rispecchiano la volontà di chi detiene il potere, quindi storicamente hanno anche espresso l'interesse del singolo (il re, il despota) o di un gruppo (l'aristocrazia, la corporazione). E la politica diventa null'altro che la grande lotta fra gli interessi particolari. Le lobbies negli USA, certe rivendicazioni sindacali o prese di posizione confindustriali in Italia, esemplificano questa idea della politica, non basata sul semplice vantaggio di chi la fa, ma del gruppo che lo esprime. Una giungla in cui ogni branco difende ciò che ha e cerca di ottenere di più: se questa è la politica, che elogio volete farne?
“Arte del civile convivere” non basta, occorre un altro passo: “ricercando il maggior vantaggio per il maggior numero, con il minor danno per il minor numero”. Perseguendo cioè il cosiddetto “interesse generale”.
La Politica – omaggiamola questa volta con l'iniziale maiuscola – è inscindibile dal concetto di “bene comune”. Le sue mete sono alte: pace, giustizia, benessere. La strada è lunga, disagevole, seminata di buche e false indicazioni. Talvolta la Politica obbliga ad essere impopolari, a promettere “lacrime e sangue” (Churchill), perché l'interesse generale può richiedere che ogni individuo rinunci a qualche diritto se il resto della torta è troppo piccolo per sfamare chi rimane.
La Politica rispetta e difende tutti, singoli e categorie, ma non si piega a interessi di parte. Cerca il dialogo, usa moderazione e ragionevolezza, rimuove vecchie logiche di divisioni.
Noi in Italia a questo punto, penso ci accontenteremmo non dico di grandi statisti, ma di una classe dirigente formata da veri politici, non di affaristi, di lobbisti, di narcisisti. Occorre soprattutto che le persone oneste e intelligenti non stiano alla finestra, non si rinchiudano nel proprio particolare, non sfuggano l'impegno civile e le responsabilità, dal condominio al quartiere, dalla bocciofila al Comune.
Il disimpegno dei cittadini dalla politica può solo disegnare un nero futuro, con un potere autoritario, magari anche agghindato di lustrini e paillettes, ma sempre espressione di un “uomo forte” e di una casta dominante. Ci si oppone a questa deriva prima di tutto cercando di informarsi al meglio. E già questo è difficile, perché i media, anche quelli non sfacciatamente di parte, privilegiano la cosiddetta politica-spettacolo (un'altra degenerazione!) rispetto ai contenuti, all'analisi dei problemi e alle soluzioni proposte. Non parliamo poi della “malizia” necessaria per interpretare parole, immagini e omissioni dei vari telegiornali. Il rischio è di scoraggiarsi in partenza. La partecipazione è indispensabile, se non vogliamo che “democrazia” sia una parola vuota e riempita da altri. Impegno civile dunque. Malgrado tutto e anche controvento. Facendo proprio lo sprone di Claude Levi-Strauss, il grande antropologo: «Lo spettacolo della stupidità e dell'egoismo mi richiama ogni giorno alla coscienza politica».
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