E’ ORA VERAMENTE DI CAMBIARE! SI, MA COSA?

Riflessioni in libertà dopo la lettura dei rapporti OCSE

di Scipione L’Aquilano

STILI DI VITA?
Occorre cambiare! L’esigenza di dare una svolta agli stili di vita diventa più pressante ogni giorno. Le file notturne per accaparrarsi l’iPhone, l’ultima diavoleria tecnologica, mi sembrano così lontane dalla realtà quotidiana! Esce sempre qualche novità che cattura cuore e portafoglio. Ma non saranno questi supermarchingegni sostenuti dal tam tam mediatico a trasformare un’esistenza sempre meno sostenibile, fatti salvi ovviamente i casi di effettivo utilizzo professionale. Le crisi finanziarie si susseguono e non c’è continente che ne sia immune. È recessione. Globale. Molti invitano a non mettere il denaro al primo posto. E hanno ragione: con il denaro non si può fare tutto, anche se tutto – sempre più spesso – si fa per e in nome del denaro. E mentre c’è chi spende 500 euro per il super telefonino, il 13% della popolazione in Italia deve vivere un mese con la stessa somma. Del resto il rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), rivela che nel nostro Belpaese aumenta il divario tra ricchi e poveri, rispetto ad altri Paesi, dove le differenze di reddito sono più limitate. Il 55% degli italiani ha un reddito che non supera i 15 mila euro l’anno, mentre il 10% degli italiani da soli possiedono il 45% della ricchezza nazionale.
IN FILA
Tra i Paesi dell’Ocse siamo in prima fila per le disparità economiche e sociali. E non è un bel primato. Ecco, le file! Sono lo specchio dei tempi: in fila per il traffico, davanti ai parchi giochi (Mirabilandia, Gardaland, ecc.), per entrare ai musei, dal medico, dal barbiere, davanti alle casse dei supermarket, al check-in per prendere l’aereo, davanti ai cancelli dello stadio. La fila è istituzionalizzata con tanto di tagliando numerato. Si è in fila perfino per entrare nella basilica di San Pietro. Le code sono diventate un evento. Con i costi che il progresso non riesce a evitarci. Forse perché non sempre è vero progresso. Se il progresso ha bisogno della crescita morale dell’umanità, quando è solo tecnico, invece di proiettare in avanti può procurare bruschi ritorni da quel futuro, messianico solo in apparenza, che non mantiene quanto promette. ”Non è la scienza che migliora l'uomo come essere pensante”. Del resto l'uomo ogni giorno ha la sua parte di pena, ma non la sua parte di pane. Perché non è vero che tutto il mondo è paese. Anche con la crisi finanziaria in atto su tutti i mercati c’è paese e paese, c’è fila e fila. E mentre le file per le novità tecnologiche sono urbanamente diffuse nei paesi ricchi e nelle isole residenziali dei paesi meno ricchi, quelle del pane sono esclusiva di un’utenza di Terzo e Quarto Mondo, che ha altri numeri e altre file. E sono più lunghe, molto più lunghe. Purtroppo. Il mondo tecnologico moderno ci mette in fila, ma nessuno se la sente di darsi da fare non dico per eliminarle, ma almeno per ridurle. Perché il mondo che ci circonda è il prodotto di ciò che pensiamo e finché non penseremo in modo diverso le cose non cambieranno. Così parlò Mohammad Yunus, Nobel per la pace 2006.
Con la tecnologia ci si illude di dare risposte ai bisogni, di controllare l’orticello personale in cui si è creatori dimenticando di essere creature. L’uomo finisce per credere in tutto e in niente, vittima di una mentalità fossile. Ai ritmi e stili di vita occidentali si contrappongono ritmi e stili di 923 milioni di poveri che devono risolvere ben altri dilemmi, la fame, prima di tutto. Qualche dato può risvegliare barlumi di coscienza. Dei 36 Paesi colpiti dall’emergenza alimentare, 21 si trovano in Africa e solo 2 in Europa; sono 24 mila le persone che ogni giorno muoiono di fame, di cui 18 mila bambini al di sotto dei 5 anni. Eppure nei Paesi ricchi si dirottano cento milioni di tonnellate di cereali dall’alimentazione ai combustibili…. La vita è un equilibrio sulla follia. La causa principale della fame è la chiusura dell’essere umano nei confronti dei propri simili che dissolve la solidarietà, giustifica i modelli di vita consumistici e disgrega il tessuto sociale. Se l’individuo si chiude all’altro i suoi stili di vita finiscono per essere determinati da logiche di mercato, ma, guarda caso il mercato, fiore all’occhiello del liberismo occidentale, con la crisi delle banche è piombato nel buio dell’incertezza… E due miliardi di persone vivono con un dollaro al giorno.
SEMPRE PEGGIO?
La fame, oltre a produrre disperazione e morte, è causa d’instabilità. L’odierna crisi internazionale ha prodotto 100 milioni di poveri in più. In sintesi: crescita demografica, caro energia, protezionismo dei Paesi ricchi, conversione di enormi aree agricole in colture per ricavare biocarburanti, cambiamenti climatici che hanno inciso sulla produttività di alcune regioni; corruzione nei paesi poveri che si mangia quasi metà degli stanziamenti di aiuti annuali globali sono, secondo l’Osservatorio anticorruzione Trasparency International, solo alcuni dei mali di oggi. Non si può rimanere ancorati solo al mondo del business. “L’uomo non è solo una macchina per fare soldi: all’uomo piace fare del bene per gli altri, cambiare la vita degli altri, migliorare il mondo. Sono cose che mancano al mondo del business. Devono esserci almeno due tipi di business: uno che mira al profitto e l’altro che ha come scopo la realizzazione di obiettivi sociali anziché la massimazione degli utili”, dice ancora Yunus, inventore del sistema del microcredito che solo nel Bangladesh ha dimezzato il numero dei poveri. In fondo Yunus ha fatto grandi cose facendo cose comuni, prestando denaro a chi ne aveva veramente bisogno. Anche il business sociale, un’iniziativa economica capace di attivare le dinamiche migliori del libero mercato, è uno strumento utile per rendere il mondo più giusto e più umano.
È ORA DI CAMBIARE!
Dobbiamo cambiare lo stile di vita. Secondo Yunus è necessario pensare in altro modo perché il mondo possa cambiare. L’immaginazione è fondamentale. Purtroppo la nostra generazione è impacchettata: troviamo difficile uscire dalle scatole perché amiamo rinchiuderci nelle scatole. E blindarci nelle file. A volte per scelta, spesso per necessità le file sono identità della nostra non identità. Esperienza di percorsi caotici e non sempre umanamente comprensibili, la fila soffoca sempre di più il nostro tempo nei binari morti della vita. Però, in una società che cambia con rapidità eccessiva e per questo liquida e più incerta, la risposta non può sclerotizzarsi nella scia stanca di chi ripete adeguandosi quello che – nel migliore dei casi – crede di aver capito. Non si può aver paura se si vuole lasciare il mondo in condizioni migliori di come l’abbiamo trovato.

Ipf.aq@tiscali.it

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