Non capisco, proprio non capisco perché tutti vogliono parlare di tutto. Anche di problemi delicati, gravi, complessi. Marco Travaglio, intelligente, tanto bravo a parlare di politica, inchieste giudiziarie, e via di seguito, si mette a parlare di suicidio assistito, e fa ingenue affermazioni che neppure i miei ragazzi a scuola facevano. E fa pensare che non abbia mai letto un libro di bioetica. Trascrivo da Il fatto Quotidiano del 2 dicembre: “Dal punto di vista logico, non si scappa: chi sostiene il diritto al “suicidio assistito” afferma che ciascuno di noi è il solo padrone della sua vita. Ammettiamo pure che sia così: ma proprio per questo chi vuole sopprimere la “sua” vita deve farlo da solo; se ne incarica un altro, la vita non è più sua, ma di quell’altro”. Ma si può? Si può spiegare a Marco, come se fosse un alunnetto, che il medico esaudendo la volontà di chi invoca la morte, semmai è il servo e non il padrone? Poi scrive: “Dal punto di vista deontologico, altro muro invalicabile: il giuramento di Ippocrate”. Ma il testo di un giuramento non può essere modificato? Oppure l'ha scritto Dio? Scrive ancora: “Se incontriamo per strada un tizio che sta per buttarsi nel fiume, che facciamo: lo spingiamo o lo tratteniamo cercando di farlo ragionare?”. Questa è una vecchia trovatina di Eugenia Roccella, e non meriterebbe commenti, ma è pacifico che prima di procurare la dolce morte alla persona malata (nel fisico e/o nella psiche) si avrebbe il dovere di ricorrere ad ogni altro mezzo per rendergli la vita sopportabile.
Miriam Della Croce