I cortei del 15 Ottobre hanno gettato luce sugli aspetti più perversi e disperanti dell’attuale crisi economica, che, invece, nella rappresentazione giornalistica, rischia costantemente di esser trattata alla stregua di un adeguamento tecnico delle modalità produttive. Parliamo di queste, e d’altre, possibili implicazioni con Claudio Dionesalvi, attivista cosentino, docente scolastico e appassionato promotore di esperienze editoriali “dal basso”, con la Casa Editrice “Coessenza”. Con genuina passionalità e slanci d'una sensibilità sempre più rara, Dionesalvi commenta con noi i fatti del giorno, senza dimenticare l'occhio malinconico e affezionato per la sua terra.
-Mai come in questo caso, la condanna del “blocco nero”, in occasione dei cortei romani, è stata unanime. Eppure, specie da aree di “movimento”, era lecito aspettarsi qualche motivo di criticità in più: le inadeguatezze del sistema di sicurezza, l’effetto alienante e claustrofobico della crisi, che ha travolto tutti, tranne, va da sé, i governanti, quasi tutti riconfermati nei ruoli che avevano anche prima di questa crisi. Cosa ne pensi?
Vivo in una città periferica del sud. Per effetto della normalizzazione voluta dal centrosinistra locale e dalle forze della conservazione, Cosenza purtroppo oggi è divenuta molto limitanea, sempre meno vivace e attrattiva. Ecco perché pur seguendolo a distanza, partecipo poco e niente al dibattito che in Italia si sviluppa dentro e intorno ai movimenti sociali di critica all’esistente. Da anni ormai preferisco misurarmi con aspetti concreti del sociale: la comunicazione, le pratiche antirazziste, la formazione dal basso. Tutte le volte che provo a confrontarmi con i ceti politici, ne esco scottato e confuso. Quindi, se mi capita di partecipare a grandi manifestazioni come quella dello scorso 15 ottobre, cerco anzitutto di capire, immergendomi nel corteo, attraversandolo in lungo e in largo, osservando, entrando in empatia con quanti lo caratterizzano. In merito a quel ch’è accaduto a piazza San Giovanni e dintorni, non intendo prendere parte al dibattito tra “buonisti” e “cattivisti”. Credo sia deleterio. Non essendo interno al programma di strutture politiche definite, guardo a quei fatti con grande interesse, ma da un’angolazione molto individuale. La domanda che continuo a pormi da quando sono tornato da Roma, senza però essere stato sinora capace di darmi una risposta, è la seguente: in Italia è ancora possibile che prendano forma esperienze spontanee sul modello di quanto avvenuto in Spagna oppure siamo destinati a subire per i prossimi mille anni la dialettica convulsa tra le diverse “scuole” e “parrocchie” del movimento? In sintesi: è praticabile un moto di democrazia realmente deliberativa e partecipativa oppure all’interno dei movimenti non riusciremo mai a sganciarci dalle logiche pietose che regnano dentro i partiti?
-Il movimento degli “Indignati” riesce a mettere a fuoco un punto importante: la critica del controllo finanziario, che influenza i provvedimenti destinati a tutti i cittadini, e non solo all’economia speculativa, che alimenta tuttora la crisi. Eppure, mi sembra ancora troppo poco per favorire un’aggregazione feconda e produttiva, di intenti e d’esperienze.
Sì, pongono finalmente un problema di sostanza: non c’è la possibilità di un capitalismo buono; le banche sono deputate strutturalmente al saccheggio, la finanza è la negazione del vivere civile e della felicità umana. Soprattutto, questi movimenti assediano i luoghi simbolici del potere, senza delegare l’espressione della giusta rabbia e dell’indignazione alle marionette della rappresentanza politica. Milioni di persone si rendono conto che la crisi economica crea disperazione, ma apre anche possibilità enormi di comunanza, esercizio dei beni comuni, autorganizzazione dal basso, nascita di reti sociali basate sulla condivisione della conoscenza. In Italia perdiamo troppo tempo dietro ai tatticismi. Bisognerebbe invece cogliere le opportunità che questa fase storica offre a chi vorrebbe costruire un Altro mondo. Soprattutto, provare ad importare la rivolta alle nostre latitudini. In Calabria, per esempio, mi piacerebbe scendere in piazza insieme a migliaia di vecchi e giovani miei conterranei per circondare e rendere inaccessibili i palazzi della Regione, le banche, le agenzie deputate alla riscossione del credito, gli uffici della formazione professionale, le sedi dei principali partiti, i consigli d’amministrazione delle società imbottite di “amici degli amici”. Sarebbe pure un modo per mettere la gente di fronte a una scelta: schierarsi dalla parte della classe politica al potere da decenni, oppure contro. Insomma, metterci la faccia! Ci vorrebbe una campagna spontanea di giovani che rivendicano il diritto a un reddito sganciato dal lavoro. Cioè, la redistribuzione dei soldi che già gli enti elargiscono a finte imprese, lobby e padrini della politica attraverso strumenti come gli incentivi. Penso alla 488, i patti territoriali e tutta la paccottiglia di misure a sostegno delle imprese, varata negli ultimi anni. Sono truffe! Solo soldi che finiscono in tasca sempre agli stessi: imprese che fingono di assumere nuovi dipendenti, ma in realtà li schiavizzano e versano in busta paga a volte persino la metà di quanto pattuito. Invece di elargire fondi pubblici a queste sanguisughe, si potrebbe erogare un reddito a tutti i disoccupati maggiorenni. E non mi si venga a dire che così si alimenterebbe l’assistenzialismo e si stimolerebbero i giovani a restare a casa. Non sono forse già costretti a vivere con i genitori fino a 40, 50 anni? Il risultato più concreto, dando loro un reddito di esistenza, sarebbe liberarli dall’incubo di legarsi a questo o quel politico… insomma, una rivoluzione. Ma questo è un diritto che non sarà mai concesso, a meno che il potere non abbia paura sul serio. E sappiamo tutti cosa bisognerebbe fare per impaurire i poteri costituiti.
-Un altro movimento, i “CinqueStelle” di Beppe Grillo, sembra affetto da limiti simili o, comunque sia, da insufficienze ancor più strane. Si alimenta sui blog, ma sta poco nei conflitti sociali. Dietro il “che se ne vadano tutti”, riesce appena a nascondere una carenza di proposte, colmata da quelle polemiche e provocatorie del suo leader. Mi sembra una semplice “arrabbiatura del disimpegno” e, forse, non è così in difetto chi la avvicina all’Uomo Qualunque di Giannini. Dal “partito dei senza partito” al “non partito del vaffanculo-day” (l’iniziativa più nota del movimento).
I movimenti carismatici sono il riflesso dell’ansia da apocalisse che caratterizza il nuovo medioevo in cui stiamo vivendo. Mi piace la gente che urla nelle piazze. Ma quando non la ritrovo nella cooperazione sociale, nelle lotte per l’ambiente e per i diritti di precari e migranti, mi puzza di Società dello spettacolo.
-Sempre più persone accettano l’idea che bisogna affrontare dei sacrifici economici per “mantenere in piedi” il sistema, lo stesso che, però, ha determinato i problemi per cui i sacrifici economici sono richiesti. E non pochi, nella classe dirigente italiana tutta, valuterebbero di buon grado e con sollievo se venisse attuata la lettera della BCE…
Io, ad affrontare ulteriori sacrifici, non ci penso proprio. Mi bastano già quelli che devo sostenere per vivere. E conosco migliaia di persone che la pensano come me. Perché mai dovremmo fare sacrifici? Non abbiamo commesso alcun reato, non ci siamo macchiati di azioni disoneste. E adesso dovremmo lavorare 12 ore al giorno in cambio di stipendi da fame, rinunciare alla pensione, alla salute e all’istruzione, solo per dare la possibilità a una minoranza parassitaria di continuare a giocare in borsa? Se lo mettano bene in testa: l’Italia non sarà mai la Cina. Non siamo automi. Non diventeremo robot. Vogliamo vivere, divertirci, godere dei pochi piaceri che questa esistenza ci offre. Certo, anche lavorare. È una necessità. Purché a condizioni dignitose.
-A Sinistra si ricerca con molta ostinazione il tentativo di tenersi mano nella mano coi presunti alfieri del “nuovo centrosinistra”, dall’ex centro democristiano all’Italia dei Valori, dal Partito Democratico a, perché no?, tutti i fuoriusciti dell’ultimo centrodestra. Possono le legittime ambizioni personali di Nichi Vendola monopolizzare il dibattito tra milioni di cittadini, che hanno tutto fuorché voglia di giochi sulle alleanze, sulle coalizioni, sui sondaggi… ?
Più li guardo e li ascolto, più mi viene da vomitare. Pensavo che le convergenze strategiche, i trasversalismi e i trasformismi facessero parte del ‘900. Invece…
Nichi è obiettivamente una persona interessante. Ma, appunto, è una persona. Non si può pensare ancora che le soluzioni arrivino da singoli uomini. Anche questa è storia del ‘900, acqua passata. In Italia troppa gente tifa per questo o quello zorro. È comodo. Perché così nessuno dà il suo minimo contributo per costruire l’alternativa. Nessuno partecipa all’associazionismo. Nessuno si preoccupa del proprio quartiere. Nessuno prende la parola sul posto di lavoro. Cioè, qualcuno lo fa. Per esempio, i leghisti. Le persone di sinistra, invece, nella maggior parte dei casi continuano a delegare. Con Nichi si rischia di commettere l’errore commesso dopo Genova 2001. Non è pensabile dare rappresentanza in parlamento a movimenti così vasti e complessi. L’alternativa reale alla barbarie che ci circonda, rimane la partecipazione dal basso.
-Ti chiedo un’ultima cosa, su cui forse vale la pena riflettere. Numerosi giornalisti, specie quelli che sostenevano la “vecchia” maggioranza di Rifondazione Comunista di cinque/dieci anni fa, hanno aspramente criticato, come retrogrado e reazionario, l’appello, firmato tra gli altri da Mario Tronti (nome caro alle agitazioni universitarie di un paio d’anni fa), dove si mettono paletti morali seri nei confronti della bioetica e si ritiene il dibattito sulla laicità troppo distante dai problemi reali e troppo orientato al “muro contro muro”. Che ne hai pensato? Come valuti, nel merito, queste considerazioni?
La bioetica è una questione complicata. Complicatissima per uno come me che vive, lavora e gioca tutti i giorni, 18 ore su 24, con i bambini. Sono la parte migliore di questo mondo. Anche la più fragile ed indifesa. Stando con loro, si sviluppa una sensibilità verso la vita umana che a volte fa tremare le gambe. Ma la vita non può essere brandita come un’arma ideologica. In generale, in questi casi sarebbe giusto lasciare il massimo margine di libertà a ogni individuo. Senza dimenticare che viviamo in una società capitalista, dominata dal credo neoliberista. Non siamo noi a gestire strumenti, risorse, metodi e prospettive.
Domenico Bilotti