PIANETA AMERICA – Dick Cheney, pro domo sua: La colpa fu di qualcun altro. Arrivano sugli scaffali le memorie del numero uno di G. W. Bush

HOUSTON, Texas – E' appena uscito nelle librerie il libro di memorie “In My Time” di Dick Cheney, ed ha polarizzato subito l'attenzione di tutti quelli che sanno come, ad un certo punto, tra lui e Bush il giovane non si capisse più chi fosse il presidente e chi il vice. Il manoscritto, concepito secondo il suo autore per rivelare nuovi particolari inediti dell'amministrazione Bush, e' improntato ad un atteggiamento sprezzante della valanga di critiche che s'abbatterono sulla Casa Bianca alla fine del mandato che poi, per reazione, vide emergere l'attuale presidente democratico Barack Obama.
Se si volesse riassumere al massimo, di questo volume che come tanti altri e' quasi certamente destinato ad essere venduto ad un dollaro nei Dollar Store, si può dire che si tratta di un tentativo estremo e patetico di fare sollevare le misere quotazioni di stima per l'amministrazione Bush. Il metodo usato dal suo autore e' quello poco edificante di dare la colpa dei fallimenti dell'infausta era appena conclusasi ed i cui effetti deleteri specialmente in campo economico permangono ancora, ad altri collaboratori poco amati per le loro critiche. E' noto che alla corte di re Bush le idee non allineate erano malviste e che di esse si teneva poco conto. I membri dell'amministrazione che avevano avuto l'impudenza d'avanzarle venivano emarginati, gettandoli senza tanti complimenti giù dalla diligenza ed ora, in queste memorie, sono messi addirittura alla gogna.
Nel suo libro Cheney, che e' ricordato ancora per il suo maldestro incidente di caccia alla quaglia durante il quale impallino' l'avvocato del Texas settantottenne Harry Whittington, sembra che fino ad ora non si lasci sfuggire l'occasione per sparare anche alle spalle d'alcuni di questi membri poco amati del team presidenziale.
L'ex vicepresidente, quando si temeva che le sue condizioni di salute lo costringessero a farsi da parte e che allora aveva voluto mostrare a tutti i costi d'essere un valido conservatore dedito all'uso della doppietta, adesso rivolge i suoi proiettili verso collaboratori i quali, forse, erano stati presi a bordo proprio per potere diventare in seguito i capri espiatori di un'amministrazione repubblicana che si colloca fra quelle considerate più impopolari dell'intera storia americana. Alla fine del mandato di Bush, questa eminenza grigia, o secondo alcuni questo cattivo demone di Bush, disponeva soltanto del tredici percento dell'approvazione popolare. All'intervistatrice che glielo ha fatto notare l'ex vicepresidente ha risposto col suo tipico ghigno tra il sornione e l'acido che non era a conoscenza di quei dati a lui poco favorevoli e, la chiara impressione che si e' avuta, e' stata che a questi importasse poco o nulla del consenso della maggioranza degli Americani. Ora pero' questi, interessato forse ad un recupero in extremis, cerca di riscrive a modo suo fatti storici noti. Primo fra tutti quello riguardante la guerra che fu scatenata precipitosamente contro l'ex alleato Saddam Hussein, accusato erroneamente d'occultare in Iraq presunte armi nucleari che non furono mai trovate.
Anche per la risibile piattaforma di lancio di un consenso quasi inesistente non sembra proprio che Cheney possa essere la persona più autorizzata ad indossare la toga di Catone il censore, e ad emettere giudizi su collaboratori che non furono certamente peggiori di lui. In ogni caso, il Comandante in Capo che li aveva scelti, se avesse voluto, avrebbe potuto licenziarli affinché non nuocessero con la loro incompetenza ai concittadini che pagavano i loro stipendi. Dopo tutto, Karl Rove e Donald Rumsfeld, che erano molto più in sintonia col Bush-pensiero, furono costretti a farsi da parte anche se ciò avvenne per averla fatta troppo grossa.
Contrariamente a ciò invece l'ex vice presidente repubblicano, salito sul piedistallo arbitrale, non s'è fatto un problema d'assegnare cartellini gialli e rossi ai collaboratori del Comandante in capo.
Primo a ricevere il suo “fuoco amichevole” il generale Colin Powell che emerge dalle righe di “Al tempo mio” come colpevole di minare l'opera del presidente e sleale.
“…Il dipartimento di Stato non servi' bene il Presidente…” ha affermato Cheney per giustificare Bush ed affossare Powell.
Nel corso di un'intervista con Jamie Gangel della NBC, molto rivelatrice specialmente del carattere di Cheney, tutte le volte che questi e' stato messo con le spalle al muro dalla richiesta di confermare le sue accuse messe nero su bianco nel suo libro, un ex vicepresidente che cerca di tramandare di se' l'immagine del ricco nobilotto di campagna britannico mentre seduto in poltrona con le pantofole e' intento ad accarezzare il fido cane domestico, ha evitato sempre di rispondere chiaramente ed ha preferito adoperare la tattica poco lodevole di quelli che prima lanciano il sasso e poi nascondono la mano.
Per giustificare il suo giudizio negativo su di un generale che ha goduto di grande stima per la sua professionalità e competenza, l'autore di queste memorie di parte ha detto che Powell era solito manifestare idee avverse ad operazioni della guerra in Iraq ma che poi non le presentava al momento che ci si sedeva attorno al tavolo con Bush.
Questo modo di fare, ha commentato con gravita' lo sfuggente intervistato, “…non aiutava la causa.”
Cheney ha suggerito tra le sue righe l'idea che le cose non poterono andare meglio e diversamente per il fatto che elementi dello staff presidenziale remavano contro. Lui ed il suo capo si trovarono a combattere per il bene dell'America, accerchiati dagli incompetenti, similmente a quanto era avvenuto nel Montana a Custer ed al settimo cavalleggeri nella tragica battaglia contro i Lakota a Little Bighorn.
Si giunge cosi a Condoleeza Rice, un altro pilastro della formazione bushiana anch'essa per una singolare circostanza afroamericana, alla quale “In My Time” vengono attribuiti dall'autore nell'ordine: fallimenti diplomatici, un approccio sbagliato , e perfino un metaforico “disastro ferroviario”.
Quando gli e' chiesto di rispondere si o no alla domanda se la Rice fosse un Segretario di Stato competente o meno Cheney, annaspando visibilmente, cerca ancora una volta di scantonare. Riferisce che in passato e, prima del servizio reso alla patria, lui stesso aveva raccomandato la signora per un posto importante in un consiglio d'amministrazione ma fa notare che questa, quasi per sua ammissione d'incompetenza e di colpa, era venuta a piangere al suo tavolo, nel suo ufficio per uno sbaglio da lei fatto.
E' quello che ho visto e quello che ho scritto risponde impassibile l'ex vicepresidente, evitando ancora una volta di rispondere, quando Jamie Gangel gli fa notare che, trattandosi di una donna potente con una carica molto alta ridottasi in lacrime, forse la sua era solo una provocazione esagerata.
Di Cheney, in ogni caso, si ricorda pure la tesissima intervista con il celebre anchorman della CNN Wolf Blitzer che fini' in malo modo per il fatto che l'intervistato pretendeva che si tralasciassero le domande a lui non gradite e piuttosto imbarazzanti. Per la sua evidente ed abituale reticenza nessuno, quindi, può neppure considerare minimamente che il memoriale di Cheney possa veramente considerarsi al cento per cento un distillato di verità rivelate ed inoppugnabili.
In effetti, con Cheney sul ponte di comando, il paese si trovo' nella condizione non d'avere i lobbisti col cappello in mano fuori dalle porte dei politici potenti di Washington ma, bensì, all'interno stesso dell'Ufficio Ovale della Casa Bianca, seduti comodamente in poltrona, con un sigaro nella mano sinistra ed un bicchiere di bourbon nella destra.
E' una costante vedere uomini noti dedicarsi alla stesura delle proprie memorie con lo scopo preciso di lasciare una traccia di verità alle spalle quando pensano che molto presto si troveranno alla presenza dei cancelli color perla dell'aldilà. Esaminando quanto ha fatto Dick Cheney, si ha invece l'impressione che questi non riesca a liberarsi del pesante carico di responsabilità che si porta alle spalle nemmeno quando si trovi molto vicino alla fatidica, naturale scadenza. Con il suo libro di memorie “In My Time”, che e' appena uscito per la delizia dei lettori d'ogni credo politico, questi mostra di non sapere dove l'imparzialità' stia di casa e continua imperterrito a perorare ad oltranza una causa d'uomo di parte per il quale il sostantivo oggettività sembra non sia incluso nel dizionario.
Secondo il braccio destro di Bush, tanto per esemplificare, Obama era riuscito a far catturare ed eliminare Bin Laden non per merito suo ma per il lavoro condotto durante l'amministrazione del presidente che lo aveva preceduto. Contrariamente a questa stessa logica, pero', il disastro economico verso cui e' stata spinta ed in cui si trova ora l'America non e' stato ereditato da G. W. Bush che lo aveva determinato con conflitti guerreggiati senza alcun risparmio ma solo ed esclusivamente per colpa sua. Assistiamo al trionfo della tattica dello “scarica barili” che troviamo pervenuta qui, nella politica degli Stati Uniti, alla sua massima espressione.

RO PUCCI
09 / 01 / 2011
I-AM, HOUSTON, TEXAS

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