Processo “Firme false” per Cota, oggi il verdetto: i Di Giovine colpevoli

La sentenza di colpevolezza da parte della magistratura Torinese è chiara, Michele Di Giovine è recidivo nella falsificazione di firme. Migliaia le pagine dell'inchiesta che si era conclusa un anno fa, e che provava che i candidati della lista non avevano siglato l'accettazione nei comuni di Gurru e Miasino, dove i Di Giovine ( padre e figlio), sono consiglieri e hanno la facoltà di esercitare funzioni di pubblici ufficiali.
Che il Presidente della Regione Piemonte fosse “clandestino”, noi piemontesi lo sosteniamo da tempo, il malcontento per questa incresciosa vicenda di ordinaria corruzione italica, serpeggia fin dalla sua elezione farsa, ma ultimamente è stato incontenibile, infatti l'ultima sonora protesta è stata di alcuni giorni fa, organizzata dalla Fondazione Benvenuti in Italia, con l'adesione di varie associazioni, tra le quali Libertà e Giustizia, e cittadini indignati, la vicenda giudiziaria ha avuto origine dai Radicali, attraverso l'Avvocato Alberto Ventrini che ha rappresentato Pannella nel processo.
Oggi la sentenza, dopo due anni e 8 mesi di processo per le firme irregolari e relativa accettazione delle candidature alle elezioni regionali piemontesi. Michele Giovine aveva procurato attraverso la lista “pensionati per Cota” ben 27 mila voti al Presidente Roberto Cota (17 su 19 le firme sotto accusa, tutte riconosciute false); e per questo è stato condannato questa mattina dal giudice del Tribunale di Torino, Alessandro Santangelo a due anni e due mesi più la sospensione per due anni dai pubblici uffici e per cinque dai diritti elettorali.
Il pm Patrizia Caputo aveva chiesto rispettivamente tre anni e sei mesi e due anni e sei mesi. Ricordiamo che questa vicenda penale e politica, è inserita nel quadro delle preferenze raccolte dalla lista a sostegno del centrodestra alle ultime elezioni regionali, i voti ottenuti erano tre volte superiori allo scarto con cui Cota ottenne la vittoria sulla Presidente uscente Mercedes Bresso, che ha perso per soli 9000 voti, quindi quei voti non sono validi.
Questa è la tesi sostenuta nei ricorsi presentati alla giustizia amministrativa precedentemente all'inchiesta ordinaria che evidenzia la dimensione abnorme del falso, perchè 17 firme su 19, significa che la Lista “pensionati per Cota” è giuridicamente inesistente.
Tutto il processo si è basato su perizie calligrafiche, testimonianze e tabulati telefonici e “non ricordo” di compaesani, parenti e pure una ex fidanzata.
Insomma, un folto gruppo di bari che hanno determinato l'esito delle elezioni.
Inoltre con questa sentenza, si ha la “recidiva” di Michele Di Giovine, che nel 2005 quando era candidato nella lista “Consumatori per Ghigo”, sfornò l'80% delle firme false, che grazie alla “depenalizzazione del reato”, gioiello di questo governo, tutto andò in prescrizione, consentendo A Cota di sedere illecitamente sulla poltrona di presidente a Palazzo Lascaris perfino quando la Corte Costituzionale definì “delittuoso” il suo comportamento.
Idem a Porte, un paese del pinerolese, dove gli fu comminata una multa sempre per firme false.
Questa volta, i Di giovine, padre e figliolo, dovranno pagare provvisionali per circa 70 mila euro, i risarcimenti saranno decisi in sede civile, e 20 mila euro vanno alla ex presidente Mercedes Bresso la quale ha dichiarato: “visto che è stata riconosciuta la falsità di una lista determinante per la vittoria delle ultime elezioni regionali, spero che l' intero provvedimento giudiziario faccia coincidere il diritto con la realtà politica”.
Ora non resta che vedere se Cota prenderà finalmente atto di essere stato eletto in modo illecito, e se avrà almeno la compiacenza di dimettersi.
Ma se non lo farà, sarà prima la Consulta e poi il Consiglio di Stato modificare sul piano amministrativo quello oggi la magistratura ha sancito sul piano penale.
Dopo i cittadini piemontesi potranno finalmente tornare a votare, si spera con regole chiare e controlli seri, al fine di assicurare che i bari stiano fuori dal gioco, e che potremo finalmente essere “padroni a casa nostra” come sono consueti dire lor signori leghisti, di cui Cota è il degno rappresentante. Certo, vien da chiedersi dove porterà le sue verdi suole, visto che nemmeno a casa sua (Novara) lo vogliono più.

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