29 e 30 maggio: un voto per liberare l’Italia. Noi liberisti non possiamo votare questa destra

Caro Grillo, non sono tutti egualiLa casa politica naturale di un liberista dovrebbe essere il centrodestra. Ma come può chi crede nella concorrenza e nel pluralismo votare uno schieramento che specula sulla paura, insulta gli stranieri, copre le città di cemento in collusione con gli imprenditori che ronzano attorno ai palazzi della politica, getta discredito sull'immagine dell'Italia nel mondo?

di Roberto Perotti, 20 maggio 2011, Il Sole 24 Ore

Sono tempi duri per i liberisti. Niente illustra meglio il loro dilemma di ciò che sta avvenendo a Milano, dove sono costretti a scegliere fra uno schieramento storicamente agli antipodi della cultura liberista e un altro che occasionalmente vi si richiama ma nei fatti dimostra di esservi ugualmente estraneo.

Per un liberista è impensabile negare a qualcuno il diritto di praticare la propria religione in modo dignitoso; come tutti, un liberista ha a cuore l'ordine pubblico, ma non lo userebbe mai come scusa per sopprimere le legittime manifestazioni della libertà individuale.
Un liberista crede nella concorrenza, anche delle idee e delle culture; per questo non potrebbe mai allearsi con chi quotidianamente insulta e minaccia stranieri e diversi.
Un liberista crede nella libertà di scelta delle famiglie, ma non ha bisogno di denigrare indiscriminatamente la scuola pubblica.

Piuttosto, cerca di correggerne le tante storture con misure credibili e attuabili, invece di lanciarsi ogni due anni in improbabili riforme epocali, spesso ispirate da zeloti ideologizzati che pretendono d'insegnare due lingue a bambini di undici anni, mentre la scuola è nel caos perché il ministero si dimentica di emettere delle semplici circolari applicative e la ministra preferisce andare agli show televisivi per inneggiare al suo capo di Governo.

Per un liberista essere imprenditore significa chinare la testa e cercare di produrre e innovare: il vero imprenditore ha meglio da fare che cercare favori, sussidi, e soldi pubblici. Un liberista ha quindi poco da spartire con quegli individui, metà politici e metà imprenditori, che ronzano come api intorno alle aziende municipalizzate, alle fondazioni bancarie, alle grandi opere e a ogni occasione per fare qualche colata di cemento o organizzare qualche evento inutile, anche quando si potrebbe fare molto di più per i cittadini con molto meno.

Un liberista è spesso un personaggio grigio e prevedibile, soprattutto quando si tratta di amministrare la cosa pubblica. È molto sospettoso dei voli pindarici e delle “grandi visioni”; sa che spesso sono solo lo strumento per nascondere la mancanza di idee o di competenze per risolvere i problemi dei cittadini. Un liberista crede in un lavoro di sana, grigia ordinaria amministrazione che cerca di risolvere i problemi di tutti i giorni, anche se sono politicamente poco visibili.

Un liberista sa che le nostre città non hanno bisogno di Expo, che scatenano un esercito di parassiti, se non di delinquenti, e distolgono per anni soldi ed energie da un molto più oscuro ma più importante lavoro di risanamento dei quartieri esistenti, che riempia i buchi delle strade, tolga i graffiti dai muri e la spazzatura dalle strade, e faccia funzionare scuole e ospedali. Non hanno bisogno di Gran premi di Formula 1 o di Olimpiadi, ma di aprire e gestire le piscine perché i giovani possano praticare lo sport. Non hanno bisogno di convegni inutili, di kermesse pseudo-culturali, di nuovi musei su argomenti sempre più improbabili, ma di far funzionare i musei che già esistono e che spesso sono un imbarazzo per il nostro Paese.

Per questo un liberista è stanco di una classe dirigente che sembra ispirata a un senso di affarismo ossessivo, nel migliore dei casi ingenuo e infantile, nel peggiore interessato e indifferente al bene pubblico. Una classe dirigente per cui sembra non esistere problema che non possa essere risolto con il cemento, con qualche annuncio a effetto, con qualche privatizzazione di facciata, con qualche grande evento, o con qualche cordata d'imprenditori ben connessi.
A causa di questa infatuazione infantile per il cemento e per gli affari come panacea di ogni male, chi ci rappresenta all'estero si è trovato a lodare pubblicamente un dittatore perché ha avuto la fortuna, negata ai poveri governanti italiani, di poter costruire in pochi anni senza intralci un'intera città – con che risultati estetici e a che prezzo per i suoi sfortunati sudditi non sappiamo, e non interessa. O si è trovato a baciare la mano di un altro dittatore che ci prometteva di salvare una banca nostrana e di riservarci due commesse nel deserto.

Un liberista crede profondamente nella competenza individuale. Per questo è incredulo che ci si riempia la bocca di ricerca, scienza e tecnologia ma per motivi ideologici si possa nominare alla vice-presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche una persona che da anni propaganda tesi che appaiono insensate ed offensive verso intere categorie di persone e la cui designazione perfino Cesare Lombroso, patrono della pseudo-scienza e dell'oscurantismo, troverebbe discutibile. Per questo un liberista non si sente rappresentato da chi, invece che promuovere l'immagine del Paese nei consessi internazionali con proposte costruttive e competenti, lo scredita raccontando barzellette osé e facendo battute sul colore della pelle degli altri governanti, ed è troppo preso da altre faccende per rendersi conto che, a torto o a ragione, nel XXI secolo questo non si può fare.

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