Guardando oltre
di Maurilio Assenza *
Tanti temi sono entrati nel linguaggio dell’azienda scuola che, una volta, insieme alla famiglia e alla parrocchia veniva chiamata – con un termine comunque anch’esso brutto – “agenzia educativa”. Tra questi temi vi è la “dispersione scolastica”. Tema che subito, come tanti altri (dall’orientamento allo sviluppo delle eccellenze), viene trattato con dati quantitativi, monitoraggi, progetti, strategie. Nelle parrocchie il tema diventa “l’abbandono del dopocresima”. Nelle famiglie si misura la portata della crisi in maniera più integrale: se la questione è grave, diventa “disagio giovanile”, diversamente non sussiste nemmeno il problema, tanto è diventato ovvio non “ritrovarsi” più. Nelle progettazioni sociali, entrano altri temi, come la «prevenzione» o «la riduzione del danno», ma anche il PEI, il “progetto educativo personalizzato”, che in altri termini ti ritrovi anche a scuola. Veniamo avvolti da un giro di parole, da un intreccio di linguaggi tecnici per non dire apertamente e concretamente che noi, molte persone le perdiamo, che le perdiamo di vista ma soprattutto le perdiamo come persone – ragazzi e giovani – che pure ci sarebbero affidati perché genitori, insegnanti, catechisti, parroci, operatori sociali…
Assegnando i vescovi italiani a questo decennio il tema dell’educare alla “vita buona e bella del Vangelo” propongono a tutti un orizzonte che porta in altra direzione: nella direzione della cura, dell’attenzione a tutti ma anche ad ognuno, come quella che la Bibbia racconta da parte di Dio, che già il Deuteronomio presenta come il Dio che educa il suo popolo, anzitutto cercandolo, quindi custodendolo, nutrendolo, portandolo in alto come su ali d’aquila. Mi fermerei anzitutto sul primo verbo di questa cura educativa – «ritrovare» – perché mi sembra aiuti a focalizzare uno sguardo oltre l’attuale perdita di tante persone a noi affidate. Passo fondamentale per evitare che l’educazione diventi un ulteriore tema che si aggiunge e non invece, come dovrebbe e potrebbe accadere, lo snodo che – mentre dice la radicalità della crisi attuale – indica anche la radicalità e l’effettiva possibilità di una via d’uscita vera.
Fermandosi, per aiutare a rendere evolutivo l’esistere
Per ritrovare occorre anzitutto fermarsi. Solo se ci si ferma, ci si renderà conto che siamo in presenza di un tempo che ci sta divorando, di modelli e di stili leggeri e tesi all’inconsistenza – base utile a manipolazioni e seduzioni di qualsiasi genere – che esercitano una dittatura sul ritmo delle giornate e sulle abitudini come non accaduto precedentemente. Solo se ci si ferma, ci si accorgerà anche che molti discorsi sono datati perché fermi alla lotta contro il moralismo, mentre il vero problema è se c’è ancora un interrogativo etico, poiché l’anima è stata svuotata più di quanto non pensassimo. Solo se ci si ferma, ci si renderà conto che la sfida che si apre è reale. E costringe ad essere integrali, radicali, coraggiosi. Non trascurando la responsabilità di non far mancare le cose più preziose, da parte di quanti custodiscono una tradizione o dei valori e di dedicare a questo compito, concentrando su questo le maggiori e migliori energie, oltre ogni attivismo ma anche oltre ogni facile disquisizione sugli impliciti. Don Puglisi l’aveva intuito: siamo in tempi di grave rischio, e il dramma più grande è che quando qualcuno si lancia nel vuoto non trova una mano pronta ad afferrarlo.
Occorre fermarsi per essere mano che sanno certo abbracciare e accarezzare, ma anche afferrare. «Buona parte dei giovani si è staccata dalle antiche sicurezze e, facendo salti mortali, tende le braccia in avanti in cerca di chi li accolga. Se due mani invocanti non trovano le due mani pronte ad afferrarle, il trapezista si schianta a terra. Per questo il nostro tempo è anche impegnativo: perché le comunità ecclesiale, civile, educativa hanno i loro ritmi e i loro problemi da risolvere, c’è il grosso rischio che i giovani non trovino le mani pronte ad afferrarli e ad accoglierli. Non c’è più tempo da perdere, c’è il pericolo che i giovani si sfracellino». Sarà allora opportuno che degli adulti che sanno fermarsi, che scelgono di fermarsi, si ritrovino e si aiutino a riprendere la via della formazione e della disciplina senza i quali non aiuteremo le nuove generazioni a ritrovarsi. Contrastando, come scrive Giovanni Salonia, la «tendenza diffusa nel sociale come nella scuola, nei media come nella politica, alla semplificazione e alla provvisorietà, al fare (comunque e in qualsiasi modo) più che al creare, al dire (qualunque cosa) più che al pensare, al fatto più che al senso». Aiutando i ragazzi e i giovani a ritrovarsi, anche loro fermandosi per dare consistenza alla crescita: «Il rilievo della vita e della soggettività, l’attenzione all’alterità nel suo puro esserci, – scrive ancora Salonia -pone oggi la questione fondamentale di un vivere spinto fino ai margini dell’inconsapevolezza e del non sapere, come se non si riconoscesse che esiste una formazione, una sorta di competenza alla soggettività, necessaria perché il soggetto sia. Il semplice esistere, in altre parole, reclama un evolutivo ‘saper esistere’, perché l’esserci non resti bloccato in un’immagine, esaltante certo, ma senza corpo e senza storia».
Con energia, se necessario correggendo….
Un secondo elemento ritengo importante perché il rapporto educativo diventi un ritrovare che aiuti a ritrovarsi, lo ritrovo nel coraggio di sollecitare a ri-prendere in mano la propria vita e, poiché ritroviamo facilmente quanti ci vengono affidati continuamente sull’orlo di precipizi, anche il coraggio di correggere, di far rientrare in se stessi prima che sia tardi. Potendo contare in questo – come ebbe a dire anni fa il card. Martini nella sua lettera pastorale dedicata all’educazione – in una alleato eccezionale, in un modello unico: in Dio, e nella sua modalità di educare. In modo particolare, scriveva Martini, in lui ritroviamo «una caratteristica che sembra essere un po' scomparsa dalla riflessione pedagogica corrente, almeno nella pratica quotidiana. La indicherei così: Dio nella storia di salvezza si mostra un educatore “energico”. Non molle o accondiscendente, non rassegnato o fatalista, ma impegnato, deciso, capace anche di rimproverare». Ritrovare veramente oggi comporta aiutare a ritrovare la rotta o, a volte, a correggere la rotta. La Bibbia da questo punto di vista conosce la correzione e il rimprovero da parte di Dio verso i singoli ma anche verso la comunità.
Fino all’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, in cui il rimprovero è alla comunità che perde slancio e, per il nostro tema potremmo dire, perde quella forza educativa necessaria in tempi di crisi. Soprattutto alla Chiesa di Laodicea viene rimproverata la tiepidezza, che tante volte ritorna in tante dismissioni educative del nostro tempo. Ma anche viene mostrata la motivazione ultima del rimprovero, come leggiamo al capitolo 3, v. 19: «Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo». La radice da cui nasce il rimprovero è dunque l'amore: io tutti quelli che amo li rimprovero! Commenta Martini: «Oggi, non sarà forse uno scarso amore a creare una certa ritrosia al rimprovero? Quando si ama poco non si sa rimproverare davvero: ci si lamenta, si diviene pungenti, si punisce col silenzio o con la recriminazione astiosa o rassegnata. Ma il rimprovero diretto, franco, preciso non emerge, perché il cuore è fiacco, oppure gravato lui stesso da sensi di colpa». Il vero rimprovero, peraltro, non è mai il semplice buttare in faccia le colpe, quasi scaricandosi di un peso, ma quando è motivato dall’amore diventa impegno a smascherare le false certezze, smontare le ragioni fasulle, contestare le legittimazioni improprie che stanno dietro ai comportamenti sbagliati. Occorrono molto amore, molta intelligenza, anche molta riflessione per giungere a un rimprovero che abbia il calore e la forza persuasiva e insieme l'umiltà che lo rendono un aiuto alla crescita.
… e ricostruire tempi e luoghi educativi
Occorre altresì, per ritrovare mani forti che sostengano veramente, insieme all’energia e alla correzione quello sfondo paterno/materno, quella capacità di verità senza i quali si resta privi di forza ma anche di affetti veri: «Ritrovare la passione della verità – scrive Massimo Cacciari – significa ritrovare un orizzonte di senso, un padre/madre nell’amore, un grembo, una custodia, in cui ritrovarci tutti più fratelli, più umani, più vicini, anche nella nostra infinita fragilità e debolezza». Per questo occorre rendere veramente educativi i luoghi ordinari della vita. Iniziando dalla famiglia, che solo in questo cercare responsabile potrà coltivare relazioni sane e forme d’uomo significative. I genitori allora sapranno consegnarsi ai figli con serietà e gratuità, offrendo quelle tracce corporee necessarie per far crescere uomini capaci di stare in piedi, senza fuggire la terra, e di incontrare l’altro, senza fuggire l’alterità. Per questo è importante insegnare, con l’esempio e la parola, la sintassi della vita nell’orizzonte dell’interezza («età, sapienza e grazia»), accompagnando le nuove generazioni a scoprire (e riscoprendo gli adulti per primi) le verità iscritte nei vari tempi della vita. Vigilando con fiducia e aiutando quelle purificazioni che fanno crescere, confidando nella forza dell’amore.
Accanto alla famiglia si colloca la scuola. Oggi attaccata nella sua identità di luogo formativo, con forti tendenze a renderla azienda, a scomporre il sapere tra moduli e progetti. Con insane parole d’ordine (flessibilità, informatizzazione…). In questo contesto, la scuola potrà ancora formare uomini saldi e polifonici solo se gli insegnanti (e accanto a loro genitori responsabili) sapranno, per un sussulto di dignità, resistere alle mode dominanti e continuare l’alta tradizione della ‘paideia’ (greca e umanistica) che si sviluppa nella fatica e bellezza dell’architettura disciplinare del sapere. Per essere, come scrivono alcuni insegnanti, «un luogo – fisico e non virtuale – in cui uomini in carne e ossa, pur diversi per storia ed età, parlano, dialogano, si confrontano, non in maniera generica e casuale, bensì collocando creativamente il loro rapporto dentro l’alveo della cultura, ovvero della grande tradizione occidentale (e non), della sua storia, delle sue conquiste di civiltà, dei suoi drammi e dei suoi conflitti, delle sue eccezionali intuizioni e delle sue scoperte esaltanti. Dove relazione e cultura si incontrano connessi secondo delicati equilibri che fanno dell’educazione un tempo diverso da ogni altro kairòs dell’esistenza».
E, tra case degli uomini e luoghi della cultura, la parrocchia. Essa saprà accompagnare con verità la formazione degli uomini, e formare discepoli del Signore, nella misura in cui sarà evitata la dispersione in mille riti e attività, si offrirà ciò che è essenziale, si resterà accanto alla vita di tutti con amicizia. Nella consapevolezza che non è la stessa cosa una formazione fondata sulle devozioni e una formazione fondata su Parola, Eucaristia, fraternità, poveri. Con ministeri improntati a magnanimità e sapienza, capaci di irradiare il vangelo. Donando all’uomo in crescita il cantus firmus della fede. Si tratta di tempi e luoghi educativi che siamo chiamati a curare prima e più di tutto il resto, perché quanti ritroviamo, possano ritrovarsi, e quindi poter diventare uomini, veri uomini. Questa mi appare la sfida che ci attende nei prossimi anni, questi mi sembrano alcuni tra i passi essenziali per ricominciare ad educare, questi penso siano i veri problemi su cui soffermarci e le mete per cui spendere le migliori energie…
* Maurilio Assenza è docente di Storia e Filosofia nel Liceo scientifico “Galileo Galilei” di Modica. Direttore della Caritas diocesana di Noto, è anche presidente della Fondazione Madre Teresa di Calcutta e membro del Consiglio direttivo della Fondazione San Corrado. E’ responsabile della Casa don Puglisi di Modica, in cui si accolgono mamme e bambini attraverso un ambiente educativo e percorsi di autonomia nel segno della relazione. Ha curato gli Atti del secondo Sinodo diocesano di Noto e pubblicato “Come un roveto ardente” (edizioni Piemme), “Ricollocarci nel Vangelo” (edizioni Qiqajon) e – insieme ad altri – “Lo sguardo dal basso” (EdiArgo) e “Ai piedi della loro crescita” (edizioni il Pozzo di Giacobbe).