Cosa hanno in comune la grande crisi economica scoppiata nel 2008 e il disastro nucleare di Fukushima? Entrambi costituiscono importanti ammonimenti sul fattore “rischio” e su quanto malamente i mercati e le nostre società siano in grado di comprenderlo e gestirlo.
di Joseph Stiglitz, da Affari & Finanza di Repubblica, 11 aprile 2011
Le conseguenze del terremoto in Giappone, e in modo particolare la grave situazione tuttora in corso nella centrale nucleare di Fukushima, appaiono lugubri agli osservatori della crisi finanziaria americana che ha dato il via alla Grande Recessione. I due avvenimenti costituiscono altrettanti ammonimenti sui rischi e su come malamente i mercati e le società li gestiscano. Naturalmente, da un certo punto di vista, non è possibile instaurare alcun paragone tra la tragedia del terremoto – che ha provocato la morte o la scomparsa di oltre 25.000 persone e la crisi finanziaria, alla quale non si può di sicuro attribuire una sofferenza fisica così devastante.
Quando però parliamo della fusione nucleare di Fukushima, subentra un aspetto comune a entrambi gli avvenimenti. Gli esperti in campo nucleare e finanziario ci avevano assicurato che le nuove tecnologie avevano pressoché eliminato il rischio di una catastrofe. Ma gli eventi li hanno smentiti categoricamente: non soltanto i rischi sussistevano, ma oltretutto le loro conseguenze sono state di tale immane portata da annientare d’un sol colpo e assai facilmente i presunti vantaggi dei sistemi che i massimi esponenti di questi settori promuovevano. Prima della Grande Recessione, i guru dell’economia in America – dal capo della Federal Reserve ai magnati della finanza – si vantavano di aver imparato a tenere sotto controllo il rischio. Strumenti finanziari “innovativi”, quali i derivati e i “credit default swap”, permettevano di spalmare il rischio in tutti i settori economici. Adesso sappiamo che quei guru non hanno disatteso soltanto le aspettative della società, ma addirittura le loro.
È così diventato palese che quei maghi della finanza non avevano compreso fino in fondo quanto complessi fossero i rischi, per non parlare del pericolo costituito dalle “distribuzioni a coda spessa” – termine peculiare della statistica atto a designare eventi rari dagli effetti esorbitanti, spesso definiti “cigni neri”. Tali eventi – che si supponeva dovessero verificarsi soltanto una volta ogni secolo o addirittura una sola ed unica volta in tutta la vita dell’universo – paiono invece verificarsi ogni dieci anni. Ma c’è di peggio. Non soltanto si è clamorosamente sottovalutata la frequenza di questi devastanti eventi: così pure il danno astronomicamente immenso provocato dagli stessi, qualcosa di paragonabile soltanto alle fusioni che continuano ad angosciare il settore nucleare.
Le ricerche in campo economico e in psicologia ci possono aiutare a comprendere per quale motivo continuiamo a gestire così malamente questi rischi. Disponiamo di una scarsa base empirica per valutare gli eventi rari, pertanto è difficile arrivare a valutazioni affidabili. In simili circostanze, pertanto, può essere senz’altro utile qualcosa di più dei pii desideri: potremmo avere ben pochi incentivi a riflettere seriamente. Al contrario, quando sono gli altri a doversi accollare l’onere degli errori di valutazione, gli incentivi facilitano l’autodelusione. Un sistema che abbina perdite e privatizza i guadagni è predestinato ad amministrare male il rischio.
In realtà, l’intero settore finanziario pullula di problemi con le agenzie coinvolte e di esternalità. Le agenzie di rating avevano incentivi ad assegnare rating eccellenti ai titoli ad alto rischio prodotti dalle stesse banche di investimento che le finanziavano. Chi erogava mutui ipotecari non era minimamente tenuto a rispondere della propria irresponsabilità, e così pure coloro che si dedicavano al prestito predatorio o creavano e commercializzavano titoli concepiti appositamente per perdere valore lo facevano con modalità che li mettevano al riparo da qualsiasi procedimento civile o penale a loro carico. Tutto ciò ci conduce all’interrogativo seguente: ci sono altri eventi “cigni neri” in procinto di verificarsi? Purtroppo, alcuni dei rischi davvero grandi ai quali dobbiamo far fronte oggi molto verosimilmente non sono neppure eventi rari. La buona notizia in tutto ciò è che questi rischi possono essere tenuti sotto controllo con poca spesa o addirittura nessuna spesa. La cattiva notizia è che farlo incontra la forte opposizione della politica, in quanto indubbiamente ci sono persone che traggono vantaggio dallo status quo.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a due dei più grossi pericoli possibili, ma abbiamo fatto ben poco per tenerli sotto controllo. A quanto si dice, il modo col quale è stata gestita l’ultima crisi potrebbe di fatto aver aumentato il rischio di un tracollo finanziario in futuro. Le banche troppo grandi per poter fallire e i mercati nei quali esse operano, adesso sanno di potersi aspettare un salvataggio in extremis dal fallimento, nel caso in cui si trovassero in cattive acque. In conseguenza di questo “rischio morale”, queste banche possono prendere capitali in prestito a condizioni favorevoli, e ciò conferisce loro un vantaggio in termini di competitività che non si basa su una performance migliore, bensì sulla forza politica. Mentre alcuni di questi eccessi nell’assunzione del rischio sono stati effettivamente ridimensionati, il prestito predatorio e il commercio sregolato in complessi e oscuri derivati overthecounter prosegue. Le strutture di incentivo che incoraggiano gli eccessi nell’assunzione del rischio restano teoricamente immutate.
Così pure, mentre la Germania ha chiuso i suoi vecchi reattori nucleari, negli Stati Uniti e altrove continuano a essere in attività impianti che presentano il medesimo design pieno di pecche di Fukushima. L’esistenza stessa del settore nucleare dipende da sussidi pubblici occulti, mentre in caso di disastro nucleare è la società intera a doversene accollare palesemente le terribili conseguenze, come pure i costi dello smaltimento delle scorie nucleari, ancora non gestito e regolamentato. Grazie per cotanto capitalismo sregolato! Ma sul pianeta incombe un altro pericolo ancora, che al pari degli altri due è pressoché sicuro: il riscaldamento globale e il cambiamento del clima. Se esistessero altri pianeti sui quali trasferirci con spesa contenuta nel caso in cui si verificasse l’evento pressoché certo previsto dagli scienziati, si potrebbe anche sostenere che il gioco vale la candela. Ma giacché tale soluzione non esiste, così non è, e il gioco non vale il rischio.
La spesa per ridurre le emissioni è niente rispetto ai possibili pericolio ai quali va incontro il nostro pianeta. E ciò vale anche nel caso in cui escludessimo a priori l’opzione nucleare (i costi della quale sono sempre stati sottovalutati). Certo, le società petrolifere e carbonifere ne risentirebbero, e i grandi Paesi inquinatori – come gli Stati Uniti – pagherebbero naturalmente un prezzo ben più alto rispetto a quelli che mantengono uno stile di vita meno dissoluto. In definitiva, coloro che giocano d’azzardo a Las Vegas perdono sempre più di quanto guadagnino. Come società anche noi stiamo giocando d’azzardo: con le nostre grandi banche, con le nostre centrali nucleari, con il nostro pianeta. E come a Las Vegas sono davvero pochi – i banchieri che mettono a rischio la nostra economia, chi possiede società energetiche che mettono in pericolo il nostro pianeta coloro che potranno guadagnarci una bel gruzzolo. Ma in media e quasi certamente noi tutti, come società, al pari di ogni giocatore d’azzardo, ci rimetteremo. E questa, purtroppo, è la lezione del disastro giapponese che continuiamo a ignorare, a nostro stesso rischio.