L’ARTE PERDE I COLORI E LE MAGIE DI AMEDEO LANCI

La scomparsa del pittore fiorentino che aveva trovato ispirazione nel passato ancestrale del suo Abruzzo

di Antonio Bini

PESCARA – E’ scomparso nei giorni scorsi a Firenze, da oltre quarant’anni sua città d’adozione. Amedeo Lanci era nato a in Abruzzo, a Frisa nel 1943. Dopo aver studiato presso l’Istituto d’Arte di Lanciano, approdò nella città toscana, dove divenne apprezzato docente di incisione presso l’Accademia di Belle Arti e pittore affermato. La sua infanzia in Abruzzo non fu certo facile. Da bambino fece anche il pastorello. Ricordava che per studiare spesso si isolava sopra un ulivo dietro la sua casa. Quando la situazione familiare divenne ancor più difficile a seguito della morte del padre, fu costretto a lasciare l’Italia per trovare lavoro in Germania, manovale in una fabbrica. Dopo tre anni, il desiderio di portare avanti gli studi artistici lo portò a Firenze, dove si fermerà tutta la vita.
A Firenze divenne l’allievo prediletto di Primo Conti che lo indirizzò a Parigi dove negli anni sessanta conobbe e frequentò Marc Chagall. Un incontro che non manco di influenzare la sua formazione artistica. Fu il sindaco Piero Bargellini ad inaugurare nel 1968 la sua prima mostra al Parterre. In più di quarant’anni numerose sono state le sue mostre non solo in Italia, ma in Russia, Stati Uniti, Grecia e Cina. Lanci, fondatore della corrente “Arte sentimentale”, ha spesso raccontato nelle sue opere magiche e fantastiche il mondo della musica e dei musicisti, con le sue ricorrenti chitarre, non dimenticando l’impegno civile: una sua opera è conservata nel museo di Sant’Anna di Stazzema, inaugurata dal Presidente Pertini.
Il critico d’arte, Stefano De Rosa, scrisse in occasione di una sua mostra a San Marino: “Lanci crede ancora nell’arte come manifestazione fantastica, come linguaggio che si struttura, si crea e si modifica all’interno di regole sintattiche già date ..La sua pittura è così entro il cerchio magico dell’autenticità. Si materia di una maestria tecnica che non cede al virtuosismo, ma si piega alle necessità di un’entità astratta, tenera e durevole alla quale non so dare altro nome che quella di poesia”.
A me piace ricordare Amedeo Lanci per il suo rapporto con l’Abruzzo. Non aveva mai dimenticato il suo paese di nascita, Frisa. Ma i suoi fortissimi legami con la sua terra di origine sono in realtà esplosi – è il caso di dirlo – in occasione della mostra che si tenne a Lanciano, presso il Ponte Diocleziano nell’ottobre 2007, sull’antico mondo dei lupari.
Ebbi modo di conoscere Amedeo un anno prima dell’appuntamento lancianese, quando il Maestro stava sviluppando e preparando la mostra. Fu allora che mi venne a trovare, una giovane lancianese, Silvia Berghella, che collaborava nella organizzazione della mostra, alla ricerca di documentazione fotografica sul mondo dei lupari che Amedeo cercava perché la sua straordinaria creatività avesse basi comunque ancorate a realtà oggettive e nello stesso tempo per trovare ulteriori spunti.
Rimase sorpreso dal mio nome che gli ricordava un pittore fiorentino, Antonio Bini, mio omonimo, che era stato in passato suo docente in Accademia. Sorrideva nel raccontare come il pittore era solito portare ricchi cesti di frutta da riprendere nelle sue nature morte. Da povero studente squattrinato, Amedeo guardava pere, mele, pesche, banane, ecc. con occhi famelici, ben lontani dall’arte e ad ogni distrazione del maestro .. il cesto veniva alleggerito.
Per Amedeo Lanci, come raccontò nel catalogo della mostra lancianese che si avvalse del critico Giandomenico Semeraro, si trattò di una profonda ricerca interiore, di un ritorno alle origini, prendendo a spunto dai suoi ricordi dell’infanzia nel suo paese alle pendici della Maiella. Recuperò alla memoria il racconto di un vecchio luparo che conobbe da bambino. Il vecchio gli aveva raccontato come anni prima – in autunno – ammazzasse un lupo che metteva sulle spalle per andare in giro tra i pastori per farsi dare del formaggio. Poi nascondeva quel lupo in montagna sotto la neve e ogni due settimane lo tirava fuori per il solito giro, facendo credere di aver ammazzato un altro lupo. Una storia di miseria, ricordata come una favola, che accomunava la fame del lupo con quella di chi era costretto ad ucciderlo, senza per questo rinunciare alla poesia.

Vari incontri precedettero la mostra, con lunghe discussioni, spesso accese e appassionate, come gli stessi colori scelti per rappresentare i vari temi della mostra, che io insistevo perché divenisse l’occasione per allargare il suo zoom dalla figura del luparo a quello più ampio della transumanza. Ricordo che gli mostrai anche alcune immagini tratte dal lavorazione del film “Uomini e lupi” girato in Abruzzo da Giuseppe De Santis (1956), che raccontava le vicende degli ultimi lupari, nel contesto reso drammatico e al tempo stesso affascinante a causa delle memorabili nevicate che contrassegnarono quell’inverno. Conoscendo la sua passione per il mondo musicale, gli suggerii che non si potevano dimenticare gli zampognari, scomparsi progressivamente insieme al crollo dei grandi numeri della pastorizia abruzzese di un tempo. Un soggetto che nel settecento e ottocento aveva affascinato anche numerosi pittori e illustratori stranieri in viaggio in Italia.

Ricordo che eravamo a Lanciano quando arrivò una forte pioggia. Riparammo nella mia auto, dove colsi l’occasione per fargli ascoltare un dvd dei Discanto, ed in particolare alcuni brani esaltati dalla bravura di Antonello Di Matteo, giovanissimo virtuoso della zampogna. La sua reazione fu di incontenibile entusiasmo. Si mise poi in contatto con il gruppo, mentre sulle sue tele prendevano forma zampogne e zampognari. In una delle sue opere riprese anche due zampognari, traendo ispirazione da una foto che scattò mio padre nel lontano 1952.
La mostra “Il luparo” fu il risultato straordinario di questa personale ricerca e ricostruzione delle proprie radici culturali nell’Abruzzo di ieri. Un omaggio ad un mondo troppo rapidamente rimosso dalla cultura di oggi, ma mai dimenticato da Lanci che volle proporlo nel suo momento di massima maturazione artistica. Solo questa consapevolezza forse poteva sostenerlo in una scelta profondamente avvertita e al tempo stesso assolutamente coraggiosa sotto il profilo artistico, tanto da avvertire che “.. si può addirittura essere precursori del contemporaneo con le vie della propria cultura, senza temere confronti”.

Nell’ambito della mostra lancianese – dal 13 al 28 ottobre 2008 – si tenne anche un interessante e seguito incontro dal tema “Riflessioni sul Luparo” nel corso del quale Lanci spiegò non senza emozione come la sua proposta creativa fosse proiettata soprattutto al futuro, una sollecitazione culturale destinata ai giovani, perché recuperino un corretto rapporto tra uomo e natura, improntato alla conoscenza e al rispetto. All’incontro partecipai insieme a Franco Tassi, protagonista dell’operazione S. Francesco, che salvò il lupo dalla sua scomparsa all’inizio degli anni settanta, e all’antropologo Emiliano Giancristofaro. Rimase colpito dalle mie ricerche sulla scuola d’arte danese di Kristian Zahrtmann e più volte mi espresse il desiderio di andare insieme a Civita d’Antino.

L’11 dicembre 2008 le immagini della mostra furono riproposte presso la sala del cenacolo dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, con la struggente colonna sonora dei Discanto. Alla fine mi confidò commosso: “Oggi abbiamo portato la cultura dei poveri contadini e pastori dell’Abruzzo in un tempio dell’arte”. E tale è in effetti considerare l’Accademia di Firenze, che nacque per iniziativa di Cosimo I dei Medici ed ebbe come maestri personaggi come Michelangelo e il Vasari. Dell’evento rimane traccia in un lungo servizio trasmesso su Toscana TV, nel programma “Incontro con l’Arte” di Fabrizio Borghini. L’evento fu seguito da un pubblico numeroso e appassionato, composto da molti giovani, che nell’occasione interruppero l’occupazione dell’Accademia.

Molti di questi giovani hanno seguito con emozione il suo funerale, come ha ricordato La Repubblica, durante il quale hanno voluto leggere alcuni suoi pensieri poetici. “Io sono come il sole, quando non mi vedete sono da un’altra parte” amava dire quando ricompariva dopo assenze improvvise. Negli ultimi anni tornava in Abruzzo anche solo per poche ore. Mi telefonava in tarda serata soltanto per dirmi “mi trovo tra le montagne, non saprei nemmeno dirti con precisione dove e domani rientro a Firenze”. La sua scomparsa è avvenuta mentre era intensamente impegnato, con l’esuberanza, la creatività e l’ardore di sempre.

Tra i suoi prossimi obiettivi c’era la riproposizione della mostra sul luparo, con nuove opere che raccontavano la sua vita. Desiderava fortemente che fosse allestita a Pescara, a due passi dalla casa natale di Gabriele D’Annunzio, presso il Museo delle Genti d’Abruzzo, luogo che custodisce memorie e suggestioni di una terra antichissima. Anche se “da un’altra parte” quel giorno, Amedeo, ci sarai anche tu con i tuoi pastori e i tuoi lupi.

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