Libia: basta con l’ipocrisia!

Non conosco azioni militari che non abbiano avuto lo scopo, più o meno confessato, di determinare o difendere vantaggi economici per chi le abbia realizzate, così come non conosco guerre che non abbiano avuto alla base motivi di natura economica.
Posso accettare che singoli individui abbiano partecipato ad azioni di guerra per motivi ideali, ma non riesco ad immaginare che li avesse chi ve li aveva mandati.
Per decidere se dire “Si” o “No” alla partecipazione italiana all’intervento militare contro la Libia dobbiamo prima rispondere ad una domanda: siamo di fronte ad un intervento militare per motivi umanitari o per motivi geopolitici, o per entrambi?
L’intervento assume carattere umanitario quando si sia in presenza di una minaccia rilevante di violazioni su vasta scala del diritto umanitario, di atti di genocidio o di pulizia etnica. Credo che ognuno di noi in questi casi dovrebbe essere favorevole all’azione di forza destinata a fermare tali violazioni dei diritti umani. Se poi, come nel caso in questione, le violazioni avvengono in un Paese confinante è ancora più evidente la necessità di dare risposta favorevole ad un tale quesito.
L’intervento assume motivazioni di geopolitica quando mira a conquistare un territorio o ad estromettere un governo ostile per sostituirlo con un governo amico, dal quale poi ottenere quei vantaggi economici che sono la vera ragione di qualunque azione di guerra.
A questo punto giova ricordare tuttavia da un lato il principio di autodeterminazione dei popoli, tutelato dal diritto internazionale, che sancisce il diritto di un popolo a poter scegliere autonomamente il proprio regime politico e, dall’altro, il principio di non ingerenza negli affari interni di una nazione, enunciato dall’articolo 2.7 dello Statuto dell’ONU. Secondo l’ONU esso non può e non deve essere invocato per giustificare genocidi o altre atrocità. Deve quindi cedere di fronte all’esigenza di proteggere i diritti umani. Va segnalato che l’ingerenza di un’autorità internazionale negli affari interni di uno Stato per difendere valori universali è un principio di ispirazione federalista. E’ lo stesso principio che sta alla base del Tribunale penale internazionale, istituito nel 1998.
Sarebbe da ipocriti non comprendere che una volta che si sia accertato che sussistano le condizioni per una azione di forza a scopo umanitario, essa non assuma anche la valenza di intervento di natura geopolitica.
La risoluzione “1973” dell’Onu si apre con una richiesta di “immediata cessazione del fuoco in Libia, compresa la fine degli attuali attacchi di Gheddafi contro la popolazione civile. Essi sono da considerare a tutti gli effetti crimini contro l’umanità”. Il mancato accoglimento della cessazione del fuoco rende legale l’instaurazione di una “no fly zone”, cioè il divieto di “tutti i voli nello spazio aereo (…) con l'obiettivo di proteggere i civili”. Gli Stati, che “potranno agire a livello nazionali o tramite organizzazioni regionali”, vengono autorizzati a mettere in atto la “no fly zone”. Le operazioni dei jet militari andranno intraprese “dopo averle notificate al segretario generale (dell'Onu) e al segretario generale della Lega Araba”. L’Onu autorizza l'uso di “tutte le misure necessarie” per “proteggere i civili, e le aree civili popolate, sotto minaccia di attacco in Libia, compresa Bengasi”. L’Onu dovrà essere “informato immediatamente delle misure intraprese dagli Stati” a questo scopo, mentre la risoluzione “esclude” la possibilità di creare “ una forza occupante” nel Paese africano.
Allora è evidente che in questo caso l’Onu ha accertato che vi sono le condizioni per una “azione di forza” a scopo umanitario, ma è altrettanto evidente che il risultato finale dell’azione di forza non potrà che essere quello della sostituzione dell’attuale governo con altro governo, la cui scelta dovrebbe essere lasciata al popolo libico in rivolta contro Gheddafi. La Libia è un Paese di grande rilevanza per il rifornimento di fonti energetiche (petrolio e gas naturale) e dunque tutti i Paesi che parteciperanno all’azione militare si attendono un riconoscimento per il loro ruolo, da parte del futuro nuovo governo che si instaurerà a Tripoli. Può un Paese come l’Italia che è uno dei maggiori acquirenti di petrolio e gas naturale libici e le cui imprese energetiche hanno investito decine di miliardi in quell’area, dire “NO” ad un intervento che è in primo luogo umanitario ma che è anche di difesa dei propri interessi economici? Può assistere indifferente ad una azione forza che cambierà le “regole del gioco”?
Soluzioni diverse da un “SI” convinto e ad un impegno diretto, mi sembrerebbero dettate solo da una grande ipocrisia, la più grande delle quali sarebbe quella di far finta di non sapere che dietro l’intervento umanitario, c’è un interesse economico nazionale di grande rilevanza. Con un “NO” finiremmo con il lasciare i vantaggi economici alla Francia (che non a caso si è gettata nell’azione per prima), agli Stati Uniti ed agli altri Paesi della coalizione. Idv eviti un atteggiamento ipocrita!

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy