Dagherrotipo contabile Quelli che dalla Nazione hanno ricevuto molto, troppo, negli anni delle vacche grasse, non dovrebbero ora restituire qualcosa, negli anni delle vacche magre? di Andrea Ermano  L’enorme debito pubblico italiano &egrav

Dagherrotipo contabile


Quelli che dalla Nazione hanno ricevuto molto, troppo, negli anni delle vacche grasse, non dovrebbero ora restituire qualcosa, negli anni delle vacche magre?


di Andrea Ermano


L’enorme debito pubblico italiano è il dagherrotipo contabile dei lussi che generazioni più anziane si sono concesse scommettendo sulla Crescita (infinita) dell’economia nazionale. Senonché, verso la fine dei vituperati anni ottanta, la Crescita si è prima raffreddata, poi arrestata e, infine, con il sopraggiungere della crisi finanziaria, invertita in Decrescita. Il debito fin qui contratto per i lussi di noi vecchi, se lo dovranno caricare sulle spalle le generazioni a venire. In altre parole: stiamo commettendo un furto ai danni dei giovani.


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Riflettendo a quanto sopra, l’ex premier Giuliano Amato ha recentemente proposto di introdurre un prelievo fiscale straordinario da operare sui grandi patrimoni, appartenenti al terzo più abbiente della nazione. Beninteso, non stiamo parlando di redditi, ma soltanto di ricchezze accumulate, e non stiamo parlando di tutti gli italiani, ma solo del terzo più ricco. Il terzo più ricco degli italiani è molto ricco. Grazie a un contributo, tutto sommato modesto, diciamo diecimila euro pro capite annui, i più fortunati potrebbero, in cinque anni, aiutare l’Italia a ridurre il disavanzo al 60-80% del PIL. L'autorevole “Proposta Amato” segue analoghe considerazioni di Carlo De Benedetti ed è stata variamente ripresa nei giorni scorsi da numerosi commentatori ed esponenti politici, e tra essi anche da Romano Prodi. Che i più ricchi facciano qualcosa per risollevare il Paese dalla prostrazione in cui versa è non solo giusto, ma anche intelligente, poiché non c’è pace senza un minimo di giustizia.


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Se la proposta di un’imposizione patrimoniale limitata alle grandi ricchezze, risponde a una semplice nozione di buon senso, il premier Silvio Berlusconi ha dichiarato ieri in un suo videomessaggio che mai e poi mai il governo da lui presieduto varerà una patrimoniale. Oibò. Tanto peggio per il suo governo, potremmo dire parafrasando Giorgio Guglielmo Federico Hegel. E che saranno poi diecimila euro all’anno?! Si apprende dai giornali di tycoon brianzoli che spendono cifre ben superiori per le loro serate di relax, karaoke, home moovie etc.



Vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera del 28 gennaio 2011


Ironia a parte, l’indisponibilità del premier a prendere in esame un’imposizione patrimoniale straordinaria costituisce almeno un dato politico. Non è concessione da poco in questa suburra mediatico-giudiziaria. E non di meno, si tratta di un errore forse irreparabile. Forse non ci si rende conto del passaggio d’epoca e quindi nemmeno del dissenso che il popolo di sinistra può ben cristallizzare proprio intorno alla semplice “questione morale” che così riassumiamo: Quelli che dalla Nazione hanno ricevuto molto, troppo, negli anni delle vacche grasse, non dovrebbero ora restituire qualcosa, negli anni delle vacche magre?


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A proposito di videomessaggi, il compagno Rino Formica, in un'intervista a La Stampa, ne ha tratto un'impressione di “crisi di panico”. In effetti, chi non proverebbe, al posto dell’Uomo di Arcore, un desiderio di fuga? Certo, lui giura di “non essere mai fuggito” ed esclude di volerlo fare ora. Belle parole, ma il tram arranca verso il capolinea. Dunque, ecco un bel problema: “Dove mettere Berlusconi?”. A suo tempo, il CLN offrì la via d’uscita. Pietro Nenni fu moderato e giusto nell’epurazione. Palmiro Togliatti firmò persino un'amnistia. “Ora il sistema dovrebbe chiudere la stagione con una fuoriuscita dolce”, sostiene Formica: “Mediaset non si tocca, i beni non si toccano e lui se ne va ad Antigua”.

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