Riusciranno mai i nostri morti a riposare in pace?

Una boccata d'ossigeno, prima pagina di Alberto Spampinato. Direttore di Ossigeno per l’informazione, osservatorio della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza

C’è poco da fare, nel nostro Paese il passato non passa. Prendiamo ad esempio i morti della guerra di liberazione di quasi 70 anni fa e altre sei generazioni di morti ammazzati. Molti di loro ancora attendono giustizia o quanto meno una parola di verità. Quei poveri morti non si rassegnano a non avere né l’una né l’altra e perciò ci restano accanto mendicando la nostra comprensione. Vivono in mezzo a noi come il fantasma del generale José Arcadio Buendia e quelli di altri antenati sempre presenti in mezzo ai loro figli nella mitica Macondo di Garcia Marquez.
Poveri morti! Dev’essere triste e frustrante difendersi – e senza neppure poter alzare la voce – da verità negate, da segreti che puzzano di ragion di Stato, da insulti ideologici che danno voce ai peggiori sentimenti, da oltraggi che non hanno fine. Pensate: qualche mese fa il Tribunale di Tolmezzo ha dovuto stabilire con una sentenza come si svolse un’azione partigiana sul Ponte di Sutrio… 66 anni prima. La sentenza ha stabilito che il 15 luglio 1944, nel corso di un’azione partigiana contro una colonna tedesca, accadde proprio ciò che la cronaca del tempo, la verità storica e i documenti ufficiali avevano già stabilito: il comandante partigiano Aulo Magrini, che dirigeva il commando, fu ucciso dalle truppe tedesche e non da altri partigiani. Pensate, sono passati 66 anni e c’è voluta una sentenza per dire che le cose sono andate come si è sempre saputo, a dispetto di voci mai provate, di versioni approssimative smentite dai fatti, di tentativi di gettare fango sulla Resistenza, secondo le quali invece Aulo sarebbe stato ucciso a tradimento dai suoi stessi compagni.
Mi ha fatto impressione leggere qualche mese fa questa sentenza e la cronaca del processo sul giornale di Udine, dove era raccontata senza alcuna sorpresa per il lungo tempo trascorso dall’epoca degli avvenimenti. In terra friulana, più che altrove, la lotta di liberazione dovette fare i conti, oltre che con la forza militare e la ferocia del nemico nazi-fascista, con le mire espansionistiche dell’alleato jugolavo e con l’inconciliabilità delle visioni ideologiche dei partigiani bianchi e di quelli rossi. Perciò la terra friulana è avvezza, direi perfino rassegnata, ad assistere a queste periodiche riletture politiche dei fatti, ai tentativi di riscrivere la storia omettendo alcune pagine e aggiungendone altre, in un’azione revisionistica incessante che fa divenire i libri di storia una tela di Penelope.
Quando finirà questo estenuante lavorio? Riusciranno mai i nostri morti a riposare in pace? Forse. Voglio crederlo. Se noi tutti ci decideremo a inserire nei libri di storia le pagine che mancano. Tutte, anche quelle che fanno sfigurare la nostra parte politica, i nostri amici politici e ideologici. Quando avremo inserito tutte le pagine avremo, finalmente, una storia comune e un senso più pieno del nostro essere italiani. E i nostri morti riposeranno in pace.

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