Battisti e la libertè, egualitè e fraternitè degli intellettualoidi francesi

Lèvy, intellettuale (sic) francese, autore de “L'intelligenza collettiva”, definendo Cesare Battisti un “intellò enragè” (intellettuale arrabbiato), si è collocato nella lunga lista di intellettualoidi francesi sempre pronti a difendere i peggiori criminali con il solito stucchevole atteggiamento di superiorità nazionalista.
Superiorità dovuta ovviamente alla rivoluzione, il che li fa sentire eredi dei dreyfusardi e dei moralistes vissuti a cavallo tra il 500 e il 700. Ma poveretti non si accorgono che il concetto di “rivoluzionario” ha ben altri significati, e che applicarlo ad un delinquente come Battisti, è sinonimo di velleitaria superiorità, che conduce inevitabilmente all'arroganza tipica dell'ignorante, già, perchè quantomeno dovrebbero studiare la storia dell'Italia se proprio vogliono pontificare.
Infatti fanno un bell'intruglio (e qui sta l'ignoranza specifica) tra la vicenda di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione, e il “povero agnello sacrificale Battisti, secondo loro ingiustamente condannato per aver “solo” ucciso due persone, organizzato gli omicidi di altre due, eseguito molte rapine, che è scappato dal carcere sottraendosi così ad ogni giudizio, non sentendo mai il dovere in tanti, troppi anni di discolparsi di fronte ad un tribunale. Questo basta e avanza per chiederne l'estradizione.

Certo, noi italiani avevamo bisogno anche di questo, che tali francesi venissero a dirci che siamo degli incivili perchè non siamo in grado di “voltare pagina rispetto agli anni di piombo, di pensarli senza passione, equamente, ed evitando la logica del capo espiatorio”.
Ricordiamo la bagarre e la solidarietà del mondo artistico (sempre francese ovviamente, ma in quel caso anche alcuni noti esponenti del cinema italiano) nei confronti di Polansky che fu giustamente condannato per aver stuprato negli anni 70 una bambina di 13 anni, che però, era comprensibile perchè vittima di tragedie famigliari legate alla deportazione nei campi di concentramento. Come se tutti coloro che hanno vissuto tale tragedia andassero in giro a violentare chichessia, meglio se bambine.

Sarebbe necessario spiegare a costoro, che il terrorismo è un fenomeno storicamente connotato, dall'età antica alla moderna, alla contemporanea. Le sue finalità possono essere dirette al rovesciamento dell'ordine costituito e/o al ristabilimento simbolico e reale di una giustizia negata dall'ordine vigente.
Con tali premesse, il terrorista si pone in immediata e simmetrica antitesi con l'autorità dello Stato, cui normalmente nega il diritto di essere considerata legittima, e la cui reazione viene ribaltata polemicamente con la qualifica di: “Terrorismo di Stato”. Termine che viene anche ad indicare quei comportamenti extra o contra legem, che lo Stato auto legittima come necessari alla lotta contro lo stesso terrorismo (in primis la tortura). Infatti il rapporto tra il terrorismo e lo Stato, ruota intorno alla reciproca delegittimazione.
Eventuali reciproci riconoscimenti hanno peraltro un valore relativo; ricordiamo che durante la lotta di liberazione i partigiani non consideravano i fascisti combattenti come “nemici riconosciuti”, bensì come traditori al servizio del nemico occupante. E d' altra parte i tedeschi consideravano i partigiani come banditi.
Detto ciò, nella storia del nostro paese, cari francesi, merita certamente una riflessione approfondita, la condizione delle vittime, delle quali il dolore ancora attende di essere pienamente riconosciuto.
Mentre da una parte il peso della propaganda dei terroristi stessi, e soprattutto dei loro fiancheggiatori, consapevoli o meno, si stende immediatamente su di loro una reticenza imbarazzata e imbarazzante.
Quasi che la loro condizione sia da ritenersi o di bersagli “naturali” del terrorismo (magistrati, giornalisti, tecnici, forze dell'ordine ecc.), o portatori di una qualche colpa civile o sociale; certo, ingiustamente o esageratamente punita, ma comunque sottintesa dal loro ruolo, e quindi mai veramente innocenti.
E spesso trattati come sgradevole “resto” di una storia che ha comunque e sempre altrove il suo focus di attenzione e partecipazione.
Poiché alla radice del terrorismo concorrono cause complesse di ordine storico, sociale, psicologico e antropologico, sarebbe utile che lor signori intellettualoidi benpensanti e manieristi francesi, comprendessero che a forza di “voltar pagine”, in Italia tutti i beoti che non sanno fare altro, hanno permesso l'ascesa e il conseguente dominio dello scempio politico a cui assistiamo da ormai più di quindici anni.
Cominciando dalle stragi delle peggiori pagine della storia legata al fascismo, che oggi viene “rivalutato” in pompa magna da molti esponenti del governo essi stessi neo fascisti orgogliosi di esserlo. Alle vicende di Mani Pulite, gli omicidi di Falcone e Borsellino e conseguentemente delle forze dell'ordine.
L'attuale pantano di corruzione in cui stagna la politica e l'economia italiana, dietro la carta dorata delle “riforme”, che altro non sono che “demolizione” di diritti, legalità ed economia che dovrebbe essere inscindibile dall'etica e dal sociale.
L'interazione tra terrorismo e mafia, tra corruzione e sprezzo della magistratura e della legalità, è la pagina che l'Italia ha purtroppo voltato con grande superficialità. Ne abbiamo già abbastanza di nostro, senza che i damerini di Francia ci vengano a dare lezioni di “Libertè, egualitè e fraternitè”, come giustamente direbbe il più grande statista italiano “Cetto Laqualunque”, Francia, fatti i cazzi tuoi, che della madre sempre incintissima degli imbecilli nostrani, ne abbiamo a sufficenza.

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