di Potito Salatto
Può sempre succedere a qualche Paese, in un momento particolare della sua storia, culturalmente confuso e politicamente stanco, di vedere crollare il suo consolidato sistema istituzionale e politico sotto la spinta di fatti internazionali, di poteri occulti liberi di agire fuori dai partiti democratici tradizionali. Non sempre questo crollo avviene con spargimento di sangue o con l’uso delle armi. È successo a noi negli Anni Novanta dopo Sigonella e la caduta del muro di Berlino con una rivoluzione giudiziaria che ha accomunato colpevoli e innocenti (come sempre avviene in questi casi!) pur di distruggere il quadro politico rappresentato da una classe dirigente espressione della volontà elettorale consolidatasi per più di 50 anni di storia repubblicana.
Come sempre succede, il vuoto politico creatosi viene occupato da un uomo “nuovo” che piano piano si trasforma in un uomo “forte”: un satrapo che tutto controlla e non consente il dissenso perché, a torto o a ragione, si considera il “salvatore” della patria, l’uomo della Divina Provvidenza. Il potere, di fatto sempre più assoluto e che viene esercitato con crescente disinvoltura, diventa inevitabilmente un momento di attrazione per molti intellettuali e per alcuni professionisti dell’informazione pronti a osannare l’uomo “forte” ritenendolo anche “immortale”.
Sì, è quanto sta succedendo nella nostra Italia. Per fortuna il nostro satrapo non ha catturato l’intellighentia culturale italiana, ma solo qualche direttore dell’informazione stampata o televisiva in quanto, di fatto, dipendente dalla sua famiglia. Inventare gossip, scandali morali, ipotesi fantapolitiche a danno di chi ha deciso di resistere a tale potere è tipico di chi si è messo al servizio del capo. Il problema è che questi, quando il regime precipita e il capo esce dalla scena del potere, per quanto dai nomi altisonanti perché professionalmente riconosciuti cadono nel dimenticatoio e il loro ricordo fa tornare alla mente solo un momento buio della vita del Paese in cui hanno operato senza limiti di decenza.
Noi che invece amiamo la democrazia nel vero senso della parola non auspichiamo rivoluzioni per quanto possano essere incruente. Ci poniamo invece il problema di sconfiggere il potere accomunato oggi nelle mani di un solo uomo sempre più afflitto da un delirio di onnipotenza. Di fronte a questa emergenza democratica non ci resta, forse, altra via che dar vita, prima o poi, se non si cambia l’attuale legge elettorale, a un Comitato di Liberazione Nazionale tra forze politiche anche distanti per storia e provenienza, ma tutte tese alla salvaguardia di un Paese sempre più piegato in se stesso, socialmente ed economicamente, per sconfiggere democraticamente l’avversario.
Certo, la speranza che con un atto di saggezza politica questo stato di cose possa cambiare c’è sempre, ma i margini di realizzazione diventano sempre più ristretti e irreversibili non per colpa nostra. Alla fine del percorso di rinascita democratica basterà dimenticare i servitori del palazzo con una nota di tristezza per il danno arrecato a loro stessi e a noi. Non c’è niente da fare: la storia si ripete sempre anche se con caratteristiche e modalità diverse. Lo vogliamo ricordare a quanti, per immediati interessi personali, lo hanno dimenticato coscientemente o incoscientemente: in tutti questi casi c’è gente che ha pagato con la vita la propria resistenza e la storia, alla fine, ha dato loro ragione. Noi non ci arrenderemo.
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