ACCORDO FIAT: LA SCONFITTA DELL’ART. 1 DELLA COSTITUZIONE

L’accordo per Pomigliano d’Arco, che prevede l’assunzione con un nuovo contratto di 4.600 operai, dovrebbe essere una buona notizia in tempi di crisi. Ed in parte lo è, perché recupera migliaia di posti di lavoro al circuito produttivo restituendo un minimo di serenità alle famiglie ormai in difficoltà da anni. Ma Marchionne ha imposto a tutte le sigle sindacali, esclusa la FIOM che non ha accettato, un nuovo modo di concepire l’impresa. Non più sullo stesso piano capitale, fattori di produzione e lavoratori, ma il lavoro come “grazia ricevuta” dal padrone che chiede in cambio di sacrificare diritti ormai sanciti da norme, ma anche consolidati nell’immaginario collettivo. Di conseguenza il lavoro diventa una concessione e per questo l’art. 1 della nostra Costituzione viene ferito in modo significativo.

A cominciare da Pomigliano, ma sarà così anche a Mirafiori, si assiste ad uno scambio tra stipendio e statuto dei lavoratori, retribuzione e diritti, posto di lavoro e posizione sociale. Si lavorerà di più, con più straordinari e più turni; ci saranno meno pause e meno possibilità di assentarsi; gli scioperi saranno quasi impossibili, e sarà cancellata la rappresentanza sindacale della Fiom solo perché questa sigla non ha firmato il contratto.

Agli operai, che hanno espresso il loro assenso con il referendum di giugno, è stato proposto esattamente un baratto: accettare ingiuste condizioni contrattuali pur di ricevere, come contropartita, un posto di lavoro.

Se ciò è potuto accadere, è stato anche a causa dell’assenza di una politica nazionale in grado di regolare il mercato: il Governo Berlusconi non ha prodotto alcuna misura per favorire la crescita economica ma, anzi, ha varato una riforma del lavoro (il cosiddetto ‘collegato’) che decima i diritti dei dipendenti e favorisce la precarietà.

L’Italia è ancora fondata sul lavoro come diritto: Sacconi plaude alla sconfitta dell’articolo 1 della Costituzione, mentre un Ministro del lavoro, per non essere ricordato come il Ministro della disoccupazione, dovrebbe riconoscere che il vero problema della casa automobilistica torinese è una produzione con tutte e quattro le gomme a terra. In Europa i volumi sono aumentati del 13% e in Italia sono diminuiti dell’11%: difficile produrre utili senza produrre auto. La Fiat ha due possibilità: investire in ricerca e sviluppo, puntando sull’ammodernamento degli impianti, sulle nuove tecnologie e su un piano industriale che possa competere con il mercato estero; oppure mantenere le piattaforme esistenti spremendo invece i dipendenti, costretti a lavorare a ritmi massacranti e senza tutele democratiche. La Fiat ha scelto la seconda strada: troppo comodo, dopo aver goduto di finanziamenti pubblici e approfittato a man bassa della cassa integrazione. L’Italia dei Valori si batterà al fianco degli operai che non devono ringraziare nessuno per le ore che passano in fabbrica, e hanno invece tutto il diritto di lavorare in condizioni dignitose.

Nessuno pensa di farsi strumentalizzare dalla FIOM, e la FIOM è tanto robusta da non consentire di cavalcare ad altri la sua protesta con l’obiettivo di cassa elettorale.

La verità è che ad un governo di destra viene facile provare a schiacciare i lavoratori. L’IdV deve essere vera forza di governo: i diritti non si toccano ma vanno coniugati con innovazione ed aumento della produttività per reggere la sfida della globalizzazione.

È questa la scommessa che una forza politica responsabile come la nostra deve porre alla società italiana, sostenendo la nostra proposta per superare le contraddizioni del nostro sistema industriale, spesso assistito dallo Stato che non chiede però il conto agli imprenditori che fanno scelte sbagliate.

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