Brevetto Europeo ed Eurobond: se la Francia gioca contro l’Italia

Sono di questi giorni due notizie indicative che debbono far riflettere noi italiani, ma anche i cugini d'oltralpe.

La prima è che, arenatosi il progetto di Brevetto Europeo valido per i 27 Paesi dell' Unione, si rischia di passare ad una “cooperazione rafforzata” in materia.
La seconda è che il Presidente francese Sarkozy e quello tedesco Merkel hanno bocciato l'idea degli Eurobond proposta da Tremonti per sostenere i Paesi a rischio dell'area Euro e l'Euro stesso sui mercati internazionali, attirando inoltre nuovi capitali e investimenti verso il nostro Continente.

Più specificamente, la proposta di Brevetto Europeo, che giace da molto tempo sul tavolo delle Istituzioni Europee, si proporrebbe di eliminare una serie di spese e di pastoie burocratiche legate ai reciproci riconoscimenti dei brevetti tra le imprese dei 27 Paesi dell'Unione. Un'ottima idea, che però presenta un vistoso tallone d'Achille, cioè il fatto che il Brevetto Europeo, per essere valido ed opponibile ovunque, non potrà essere registrato in una qualsiasi delle 20 e passa lingue ufficiali dell'UE (estone e maltese compresi), ma soltanto in una delle abituali 3 “lingue di lavoro” dell'UE, ovvero inglese, francese e tedesco. Quid se un'impresa italiana, spagnola, polacca, ungherese, registra un brevetto nella propria lingua madre? Ovvio, dovrà sostenere delle consistenti spese di traduzione.
Si crea così una palese discriminazione in favore degli operatori economici inglesi, francesi e tedeschi, e contemporaneamente a detrimento di Paesi come Italia e Spagna, i cui rappresentanti hanno infatti posto il veto a tale sciagurata proposta in seno al Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea, bloccandone l'adozione. L'Italia aveva proposto il solo uso dell'inglese.

Tuttavia, qualcuno ha trovato il modo di aggirare il veto italo-spagnolo, proponendo di rimando l'istituzione di una “coooperazione rafforzata”, ovvero l'approvazione di un Brevetto Europeo unitario valido solo per quei Paesi che decidano di aderirvi, mentre per gli altri nisba, nessun riconoscimento automatico e buonanotte ai suonatori. Chi volesse aderire in seguito dovrà accettare le regole stablite per chi già è dentro (le famose 3 lingue, per intendersi).

I media italiani, solertemente impegnati a sostenere le battaglie del partigiano Fini contro il caudillo Berlusconi, non hanno dato il dovuto risalto alla questione: tuttavia, noi italiani residenti ad Eurolandia siamo lieti di fornirvi i nomi dei Paesi che sostengono il ricorso alla “cooperazione rafforzata”, ovvero coloro che giocano contro gli interessi dell'Italia e delle sue imprese in questo specifico frangente:
Francia, Germania, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Lussemburgo, Lituania, Estonia, Slovenia. Come ovvio, si tratta, oltre ai 3 grandi Paesi capolista, di alcuni staterelli di piccola o media dimensione legati a doppio filo ai primi 3 e nei quali, spesso e volentieri, lingue come inglese e tedesco si poppano direttamente dal biberon, per cui è ragionevole supporre che in quelle lande redigere un brevetto in inglese o tedesco non comporti problemi di sorta, contrariamente a quanto accade nei Paesi del bacino mediterraneo e balcanico.
Comunque stiano le cose, è un dato di fatto che i nostri cuginetti francesi non ci hanno pensato due volte a tirarcelo in saccoccia, prova ne sia che l'estensore dell'originale proposta, nonché “mediatore” tra le parti in causa, è il Commissario Europeo al Mercato Interno Michel Barnier, guarda caso pure lui francese.

Veniamo adesso al secondo casus belli, quello degli Eurobond. Nell'ambito dell'ultimo vertice franco-tedesco, Nicolas Sarkozy ha rassicurato Frau Merkel che la proposta tremontiana di lanciare gli Eurobond non s'ha neppure da discutere, il meccanismo di pronto intervento e i finanziamenti stanziati per la Grecia prima e per l'Irlanda poi essendo più che sufficienti a porre l'Euro e i Paesi che ne fanno parte al riparo da turbolenze, defaults e crisi varie.
Ora, se è vero come è vero che in Germania sempre più apertamente si parla di tornare al Deutsche Mark oppure di espellere dall'Euro i Paesi incapaci di stare al passo con la Bundesrepublik, si comprende come ancora una volta i nostri cuginetti d'oltralpe non ci stiano esattamente facendo un favore.

In conclusione, ci piacerebbe sapere dai nostri cari galletti transalpini: a) se l'Italia sia ai loro occhi un partner di Serie B, cui all'occorrenza si può assestare una bella testata alla Zidane senza la minima vergogna; b) se la comune appartenenza di PdL (il partito di maggioranza italiano) e UMP (partito di maggioranza francese) alla casa europea del PPE (Partito Popolare Europeo), abbia un qualche significato politico e programmatico che va oltre la spartizione di qualche poltroncina nelle commissioni e nelle direzioni amministrative del Parlamento Europeo, ed oltre le consuete pacche sulle spalle tra i relativi rappresentanti nel corso dei simpatici drinks di più o meno alto livello a Bruxelles, Parigi e Roma, e infine; c) se i francesi credano ancora fermamamente di poter riscuotere qualche sostanzioso dividendo dal tradizionale asse con la Germania, asse che una volta li vedeva protagonisti, mentre oggi li vede piuttosto subalterni, anzi parecchio, agli umori e ai disegni unilateralistici del Cancelliere di turno.
In altre parole, sono sicuri i francesi che i loro amichetti teutonici, dopo aver usato la Francia in funzione anti-italiana, non decidano di tirare un bel “pacco” pure a loro?

La vulgata europeistica sinistrorsa, già politicamente responsabile del fallimento ideologico e pratico dell'Euro, che oggi ci si para davanti in tutta la sua tristezza – fallimento basato sull'idea balzana per cui sarebbe bastato creare una moneta unica per giungere a una convergenza tra economie geneticamente diverse tra loro – rischia adesso di vedersi sgretolare dinanzi agli occhi un altro dogma: quello della meravigliosa e progressiva forza propulsiva del “motore franco-tedesco”, chiave storica del processo “irreversibile” di integrazione europea.

Invitiamo quindi i cugini francesi a svegliarsi dal torpore e dall'autoreferenzialità che li affligge ormai da tempo, consigliando loro di non forzare troppo la mano. Non è infatti detto che il gioco del “tutti contro tutti” o del “dagli all'italiano” possa loro giovare, né che insistere pedissequamente con la loro politica germanofila non si riveli alla fine un pericoloso boomerang.

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