La crisi vista dagli italo-americani

“Negli Usa non ci sono i ribaltonisti, l'etica della democrazia è la priorità”
Intervista ad Amato Berardi di Filippo Benedetti Valentini

O Governo Berlusconi o elezioni anticipate. E' la certezza della maggioranza che, fiduciosa di incassare il sì al Senato e alla Camera, tiene fisso il timone sulla rotta del 14 dicembre. Anche Amato Berardi, membro della Commissione finanze a Montecitorio, pidiellino italo-americano con base a Philadelphia eletto nella circoscrizione “America Settentrionale e Centrale”, è “sicuro che il presidente Berlusconi avrà la fiducia”. Ma intanto, le relazioni internazionali italiane finiscono sotto il fuoco (fatuo) delle rivelazioni di Wikileaks e le manovre dei ‘terzopolisti’ mettono a rischio la stabilità politica del Paese che, proprio secondo il premier, potrebbe diventare “bersaglio della speculazione internazionale come la Grecia e l'Irlanda”. Tuttavia c'è uno spiraglio di trattativa e Berardi ne è convinto.
Onorevole Berardi, dunque per la maggioranza c’è un margine di trattativa?
Sono certo che la fiducia ci sarà, ma quello della trattativa è uno scenario possibile. L’apertura a Udc e Fli potrebbe garantire all’esecutivo una stabilità che ci permetta di governare per tutta la legislatura. Significherebbe andare avanti con le riforme necessarie per l’Italia. Se questo dovesse comportare l’apertura di un tavolo di confronto anche sulla legge elettorale, sarebbe per il bene del Paese.
Lei viaggia continuamente tra l’Italia e gli Stati Uniti. Come vengono giudicate le vicende politiche italiane dagli americani?
I giochi politici fondati su questioni di Palazzo o di carattere personale sono molto criticati negli Stati Uniti. In verità, molti non capiscono cosa stia succedendo per una ragione molto semplice: nel sistema americano una volta che il popolo ha espresso la sua volontà nei confronti di un partito e del suo leader la legislatura deve continuare e non c’è spazio per soluzioni “di ripiego” o ribaltoniste. Per gli americani c’è in ballo l’etica stessa della democrazia. In Italia, per alcuni, questo valore non sembra contare allo stesso modo.
La riforma dell’Università italiana è stata motivo di grande scontro, fuori e dentro il Parlamento. Secondo lei rischia di finire ad un binario morto?
Io penso di no. Anzi, bisogna fare in modo che questa legge vada avanti, perché il sistema universitario italiano ha bisogno di un cambiamento radicale.
Crede che con questa riforma le università italiane possano avvicinarsi al modello di governance americano, noto per la sua efficienza in tutto il mondo?
Il sistema americano e quello italiano sono profondamente diversi, non è facile metterli in relazione. Negli Stati Uniti, ad esempio, gli studenti frequentano lezioni in classe, non fanno esami e mentre studiano svolgono attività lavorative inerenti al loro percorso di studio. Quindi è un approccio sostanzialmente diverso dal nostro. Bisogna però considerare anche che in America lavorano circa 15 mila ricercatori italiani: vuol dire che le conoscenze dei nostri ricercatori sono ottime. Quello che deve cambiare è la limitazione degli sprechi e la gestione dell’Università, altrimenti i migliori tenderanno ad andarsene.
Ormai è un refrain: l’Italia spreca un sacco di soldi. Stavolta però c’è chi dice che siamo sull’orlo del burrone finanziario come Grecia, Irlanda e Portogallo. E’ così?
Certamente abbiamo dei problemi enormi ma anche una fortuna: gli italiani sono dei grandi risparmiatori. Detto ciò bisogna stare molto attenti, perché attualmente le esportazioni sono molto difficili e gli investitori sono scoraggiati. Il sistema di tassazione italiano, ad esempio, è troppo pressante.
Quanto influisce l’instabilità politica italiana nei rapporti economici internazionali?
Moltissimo. Ultimamente l’Italia, vista dall’estero, appare un Paese debole e questo non attrae certo gli investimenti. Ora, un passo avanti come quello dell’Università sarebbe il caso di farlo anche sulla Giustizia. Pensi che alcune multinazionali non si immettono nel mercato italiano perché da un lato il regime di tassazione è molto alto, dall’altro perché il sistema giudiziario, troppo lento, non rassicura gli investitori che temono il rischio di dover affrontare spese insostenibili. Molte aziende americane vogliono addirittura fuggire dall’Italia.
Secondo lei la vicenda Wikileaks sta inasprendo i rapporti fra Italia e Stati Uniti?
C’è ben poco di concreto nelle rivelazioni di cui si è parlato in questi giorni. I rapporti tra Stati Uniti e Italia sono molto buoni. I diplomatici spesso esprimono dei giudizi personali che servono esclusivamente per gli incontri politici. Questo non significa che certi giudizi rispecchino i sentimenti dei cittadini o dei governi.
Eppure, l’asse Italia-Russia e il progetto “South Stream” per l’approvvigionamento europeo di gas, sembra sia per gli Stati Uniti la causa di qualche mal di pancia.
Certo, la partita energetica è una cosa seria e su certi interessi gli Stati Uniti non vogliono essere messi da parte. Ma non ci scordiamo che Usa e Italia continuano ad essere fianco a fianco nella missione in Afghanistan. Credo, dunque, che il segretario di Stato Hillary Clinton sia stata sincera nel dire che ci sono ottimi rapporti di amicizia con Berlusconi e con l’Italia. E’ anche il sentimento dei parlamentari americani.
Rimaniamo sul versante americano. Ora che le elezioni di Medio termine hanno decretato una sconfitta per i democratici, qual è la strategia repubblicana?
Ora i repubblicani dovranno puntare più che mai al consenso dei lavoratori delle piccole e medie imprese. Quello è un bacino che contiene circa l’80% dei lavoratori americani.
I democratici hanno goduto a lungo del consenso della cosiddetta “cintura della ruggine” di cui la Pennsylvania fa parte, cioè l’area a nord est degli Usa dove si trovano moltissime fabbriche e quindi una grande concentrazione di operai. Il partito del presidente Obama ha ancora quei voti?
Ormai Obama li ha persi. Ma non è tutto, perché nella stessa area il presidente ha perso anche i consensi degli imprenditori. Pennsylvania, Ohio, Indiana e Illinois erano un tempo Stati strategici per i democratici. Ma nella “cinta” Obama ha conseguito il risultato più basso della storia dei democratici. Questo è accaduto perché il “macromanagement” obamiano ha dato poco spazio a persone della sua amministrazione che potevano garantirgli quei voti.
Cosa pensa del fenomeno “Tea Party”?
Stanno avendo un buon seguito a causa di una parziale perdita di consensi sia da parte di democratici che dei repubblicani. La riforma della sanità, che prevede un innalzamento della pressione fiscale, è stato un elemento propulsore del consenso del Tea Party. E’ un ruolo che stanno giocando molto bene.
L’Italia e gli Stati Uniti hanno moltissimi rapporti commerciali importanti. Per lei qual è la carta sulla quale è più importante puntare?
L’accordo Fiat-Chrysler lo è sicuramente. Sono certo che i prodotti Fiat andranno molto bene sul mercato americano.

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