ILVA DI TARANTO, 700 PRECARI IN SCIOPERO DELLA FAME

di Pierfelice Zazzera

L’ILVA di Taranto è la più grande acciaieria d’Europa del gruppo Riva, quello della cordata Alitalia. Avvolta nel fumo degli scarichi la vedi di notte percorrendo la Strada Statale 100. Ti fa paura, somiglia a un enorme mostro, un drago i cui camini sputano lunghe lingue di fuoco.
Per Taranto è la vita. Sono 13.000 gli operai che ci lavorano, per buona parte precari, più l’indotto. L’ILVA per la città, però, è anche morte per il più alto numero di incidenti sul lavoro e per l’inquinamento che porta il cancro da diossina e benzo(a)pirene. Si vive per l’ILVA, ma si può anche morire.
L’ILVA per Taranto è come la FIAT per l’Italia. Il gruppo siderurgico ha preso tanti soldi pubblici, beneficiato di leggi speciali fino al decreto 155/2010 del 13 agosto scorso, detto anche salva-ILVA, con cui è stata data l’immunità a Riva per sfuggire all’ennesima indagine che lo vede accusato di disastro ambientale da emissione di benzo(a)pirene. Su quella Legge pesa il ricatto dei licenziamenti, che poi puntualmente arrivano!
I soldi pubblici però sono finiti, è finita la cuccagna ed è arrivata la crisi. La Cina succhia quote di mercato dell’acciaio sempre più grandi. A farne le spese come al solito i più deboli della catena, gli operai, soprattutto quelli più ricattabili: i precari, gli ultimi degli ultimi.
L’ultimo provvedimento del gruppo Riva riguarda 700 operai precari, ai quali non è stato rinnovato il contratto e da un giorno all’altro si ritrovano in mezzo alla strada. Loro davvero non hanno più nulla, non hanno la speranza, non hanno alcuna tutela sociale, non una pensione e neppure la cassa integrazione.
Questi 700 disperati dell’ILVA da qualche giorno stanno picchettando i cancelli e hanno iniziato lo sciopero della fame. Per farsi ascoltare devono lasciarsi morire di fame, troppo storditi come siamo dai grandi fratelli, dalle isole dei famosi, dai teatrini politici.
Sento il dovere pertanto di stare con loro, con chi pur precario sfida la logica del ricatto. Il precario è sempre sotto ricatto, perché se fai attività sindacale ti licenzio, se chiedi il rispetto delle norme sulla sicurezza ti cambio di reparto, se parli col tuo compagno ti sospendo. Questi precari non hanno più nulla da perdere perché a Taranto dopo l’ILVA c’è il nulla, anzi c’è la rapina o l’ingresso in qualche organizzazione criminale.
Noi dell’Italia dei Valori chiediamo di aprire con urgenza un tavolo di concertazione tra ILVA, Sindacati e Governo perché si sospenda l’efficacia dei licenziamenti. E’ la prima cosa da fare!
I precari dell’ILVA gridano vendetta di fronte alla nostra coscienza, perché rappresentano la violazione dell’articolo 1 della Costituzione che dice “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, ormai possiamo aggiungere “sul lavoro precario”.
E’ il momento di riflettere sui danni provocati dalla Legge 30 (c.d. legge Biagi), perché ha trasformato la flessibilità del lavoro in lavoro precario a tempo indeterminato rubando ogni speranza al lavoratore, negandogli la dignità, distruggendogli il futuro, rendendolo schiavo.

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