Il Costituzionalista di Harvard

GLI STATI UNITI D’AMERICA VISTI DALL’ITALIA

Il Presidente Obama ha mantenuto le promesse preelettorali nei suoi primi due anni alla Casa Bianca, riforma del sistema bancario, riforma della sanità, ritiro delle truppe dall’Iraq, proseguimento della guerra in Afghanistan erano state ampiamente discusse in comizi, dibattiti ed incontri pubblici. Ricordiamo tutti le immense folle che rispondevano al suo slogan per il cambiamento.
Subito, però, è incominciata la discesa nel favore dell’elettorato, in una inarrestabile corsa all'ingiù che in queste mid term elections ha causato la perdita della maggioranza democratica al Congresso, ma non al Senato.
C’è stato, insomma, un rapido cambiamento di umori. A titolo d’esempio riporto un episodio: nell’Ohio al comizio finale del Presidente erano presenti 9.000 persone, contro le 60.000 del suo comizio di appena due anni fa. Dove sono andati a finire i 51.000 mancanti? Una parte ai Tea Parties, un’altra ai repubblicani, e tanti altri saranno semplicemente spariti nella voragine dell’astensionismo, infatti tradizionalmente solo quattro su dieci americani vanno a votare per questo tipo di elezioni. Le cronache riportano che alcuni volontari operanti per il partito democratico, a due settimane dal voto hanno scoperto che tanta gente non sapeva neppure che si doveva andare a votare. Inoltre riportano che gli unici contenti di andare a votare sono stati gli appartenenti ai Tea Parties, tradizionali ed ultraconservatori, forti di previsioni a loro favorevoli, come le tifoserie delle partite di calcio che freneticamente applaudono la squadra del cuore quando questa vince. Come è successo? Con tutti i mezzi d’informazione in funzione sul territorio come si può ignorare una cruciale tornata elettorale? Eppure questa è la realtà. La realtà di una tifoseria che si carica di entusiasmo per l’uno o l’altro concorrente in pista, in conseguenza di un grosso intreccio di cause culturali, emozionali, di identità etnica e religiosa, facce di un prisma che trova il suo centro nella causa più forte di tutti, l’andamento dell’economia in generale e di quella individuale, prima di tutto.
Nonostante l’impegno della Casa Bianca, la ripresa dell’economia, cioè la crescita dei posti di lavoro, la diminuzione della disoccupazione e l’aumento dei consumi, sono stati finora lenti ed incerti, dopo la profonda crisi iniziata nel periodo di presidenza G.W. Bush.
A questo ciò si aggiunge che il Presidente è accusato di essere elitario. Figlio di un emigrato recente, cresciuto da una madre sola, marito di una donna di colore avvocato con antenati vissuti in schiavitù, certamente non appartiene alla nobiltà del dollaro. Appartiene però alla nobiltà intellettuale, è arrivato alla Scuola di Legge di Harvard per merito personale ed un ingegno raffinato, altissimo, che si palesa nei suoi comizi. Anche quando parla improvvisando, organizza il pensiero usando un tipo di lingua sottile e raffinata nella scelta del lessico, complessa ed avvincente nella sintassi.
L’ appartenenza del Presidente B. Obama alla élite intellettuale non è digeribile da una massa di gente di tutte le provenienze e di incerta scolarizzazione, che parla una lingua Inglese frammentata fatta di un lessico povero e ripetitivo, ragiona con il portafoglio e tutti i giorni ingoia televisioni in modo acritico e passivo. Il merito è accettato, popolare, divinizzato quasi, quando costruisce imperi industriali e finanziari.
Il merito puramente intellettuale e speculativo di Obama, invece, è considerato con sommo sospetto perché rovescia banali luoghi comuni, diffonde coscienza critica e svela ciò che è nascosto in tante diffuse semplificazioni. Popolarissime perché facili.
E’ ragionevole ritenere che il Presidente Obama, a cui auguro di essere rieletto fra due anni, cosa non impossibile vista la rapidità dei cambiamenti ed il precedente di Bill Clinton sconfitto nelle mid-term elections e poi rieletto, possa essere più utile se si dedica a scrivere libri ed a fare conferenze in giro per il mondo per diffondere la cultura della crescita della democrazia e della economia verde per mezzo della sua non comune, bellissima lingua Inglese. Se l’Inglese deve essere la lingua della globalizzazione del duemila, quella usata con tanta straordinaria padronanza dal Presidente Obama è certamente un modello valido da imitare.

emedoro@gmail.com
4 novembre 2010.

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