CONSULTORI, UNA RIFORMA CHE NON SERVE

Autore Giulia Rodano

Con la decisione di incardinare la discussione della legge Tarzia nella Commissione Politiche Sociali del Consiglio Regionale del Lazio, la maggioranza di Renata Polverini accelera verso una riforma dei consultori pubblici definita da più parti illegittima e pericolosa. Nulla ha potuto nemmeno il parere di un organo tecnico e neutrale come l’ufficio legislativo del Consiglio, che nel testo ha rilevato un’incostituzionalità addirittura ai sensi dell’articolo 3 della Carta, quello sull’eguaglianza dei cittadini. D’altra parte questa proposta è un esempio illuminante di uno degli obiettivi del centrodestra italiano: coprire una politica antisociale attraverso lo sbandieramento di norme tese a delimitare, influenzare, imporre per legge le scelte etiche dei cittadini.
Sin dalla prima frase della relazione allegata alla legge, la proposta rivela la propria ‘anima’ – giacché di ratio della norma, come vedremo, non si può neppure parlare. “La proposta di legge regionale in commento” recita il testo “ridefinisce il ruolo dei consultori familiari, non più strutture prioritariamente deputate a fornire, in modo asettico, una serie di servizi sanitari o parasanitari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia e i valori etici di cui essa è portatrice e che trovano solenne riconoscimento nella Carta costituzionale e nella Legge Regionale 32/2001 del Lazio”. Non più servizi dunque, ma valori. Ovvio che, dopo un incipit del genere, ogni sillaba dell’articolato debba essere conseguente. Il consultorio è uno “strumento del compito generativo”. Vi sono ammesse, per collaborare, solo associazioni che condividono questa finalità: sicuramente non la Luca Coscioni o Vita di donna, ad esempio. Un’altra norma, senza alcun fondamento nella legislazione italiana, riconosce il concepito quale membro della famiglia. Un assurdo giuridico. Il “potenziamento” dei consultori e la tutela della salute della donna sono meri alibi. Gli scopi dei firmatari della riforma Tarzia sono altri.
Il primo consiste nel finanziare con risorse pubbliche strutture private. Non tuttavia per affermare una normale politica di sussidiarietà regolata, affidando anche al privato funzioni pubbliche, ma per sostituire una funzione pubblica, laica e pluralista, con formazioni confessionali. Si vuole premiare l’impegno ideologicamente connotato, non finalizzato ad aiutare scelte consapevoli, ma teso ad imporre comportamenti considerati etici per legge e previsti nella legge stessa. Non a caso, la riforma non prevede nemmeno una minima procedura di accreditamento che prescriva garanzie chiare, oggettive, sui requisiti e i controlli necessari; e consente di derogare alle poche regole oggi esistenti per l’accreditamento dei servizi sanitari di cui i consultori fanno parte.
L’altro obiettivo è ostacolare l’aborto. Alle donne che chiedono di ricorrere all’Interruzione volontaria di Gravidanza, non è proposto un percorso di sostegno ad una scelta libera e consapevole, bensì un vero e proprio calvario psicologico, in cui operatori controllati da un comitato di bioetica dovrebbero inquisire sulle condizioni e le motivazioni di ogni donna. Con la sanzione finale, imposta sia alle pazienti sia agli operatori, di dover firmare un documento in cui si dichiara espressamente di non aver voluto accedere alle cosiddette alternative, peraltro del tutto fantomatiche. La legge naturalmente promette sostegni economici alla maternità. Aiuti però del tutto ipotetici, ad oggi, visto che nel bilancio della Regione Lazio non ve n’è traccia (e anche aiuti sbagliati, visto che uno dei problemi fondamentali è la possibilità, avuto un figlio, di tornare al lavoro). Anzi, in assestamento di bilancio, la Giunta Polverini ha sancito la decurtazione di un milione e mezzo di euro del fondo sociale che finanzia i consultori.
La verità è che non c’è nessun bisogno di nuove leggi. Basterebbe leggere i dati sui consultori del Lazio per capire che svolgono da anni un’opera preziosissima e riconosciuta, e che non hanno certo bisogno di comitati di bioetica o di interventi ideologici. L’unica casa che serve sono le risorse economiche, di sedi e di personale. Basterebbe affrontare il tema con un atteggiamento laico, razionale ed orientato all’interesse dei cittadini, non alla tutela delle associazioni “amiche” dei consiglieri firmatari.

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