Il Cenacolo Sabaudo

Quest’anno durante l’ostensione della S. Sindone sono state migliaia le persone che sono sfilate davanti al Sacro Lino, ma chissà quante di loro si sono voltate a guardare sopra il portale la sublime “Ultima cena”? Prima d’iniziare a raccontare la sua storia, è interessante, aprire una breve parentesi sulla lunga tradizione dei cenacoli nell’arte italiana, fondamentali per gli studi compositivi, ed interpretativi – tratti dal Vangelo di Giovanni 13:21 nel quale Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi discepoli – ai quali s’ispirò anche Leonardo da Vinci.
Tra più importanti, iniziando dal Medio Evo, troviamo il Cenacolo di Santa Croce (1340) nel refettorio del convento di Santa Croce, opera di Taddeo Gaddi, per lungo tempo attribuito a Giotto e ritenuta la prima grande rappresentazione della “Coena” a Firenze. La scena si svolge nel tipico momento nel quale Gesù annuncia il tradimento di Giuda, rappresentato di schiena a destra del Signore, isolato dal resto dei discepoli, in modo da renderlo subito riconoscibile allo spettatore. Successivamente vi è il Cenacolo di Santo Spirito (1370), nel convento agostiniano della basilica di Santo Spirito. Nel 1400 troviamo il Cenacolo di Santa Apollonia (1450 circa) opera tra le più significative di Andrea del Castagno, ed è il primo cenacolo in stile rinascimentale inserito in una finta stanza prospettica con la cura dei minimi dettagli, come le tegole del tetto e le mattonelle del pavimento; Giuda è rappresentato sempre di spalle, ma questa volta a sinistra di Gesù invece che a destra.
Abbiamo i tre Cenacoli di Domenico Ghirlandaio; il primo, nel quale intervenne anche il fratello Davide, (1476) a Badia di Passignano nei pressi di Tavarnelle Val di Pesa, vicino a Firenze. Il secondo, il Cenacolo di Ognissanti (1480) nel refettorio del convento di Ognissanti, l’ultimo il Cenacolo di San Marco (1482), una versione in scala ridotta della precedente. Successivamente c’è il Cenacolo di Foligno (1495), di Pietro Perugino, per lungo tempo attribuito a Raffaello e si trova nell’ex convento delle Terziarie francescane di Sant'Onofrio, dette monache di Foligno.
Scorrendo cronologicamente troviamo quello, indiscutibilmente famoso, di Leonardo da Vinci (1494-1498 circa) a Santa Maria delle Grazie a Milano, il primo a spezzare la tradizione compositiva consolidata delle “Cene”, dove la figura di Giuda, è maggiormente marcata nell'atto di allungare il braccio per inzuppare il pane nel catino comune davanti a Gesù, a rivelare il suo tradimento secondo una scrupolosa interpretazione del passo evangelico. L’innovazione iconografica vinciana risiede nella ricerca del significato più intimo ed emotivamente rilevante dell'episodio religioso. Leonardo infatti studiò i profondi “moti dell'animo” degli apostoli, sorpresi e sconcertati all'annuncio del tradimento di uno di loro. Passando al 1500, abbiamo Il Cenacolo di San Salvi (1519-1527), dipinto da Andrea del Sarto nel convento di San Salvi, con tratti anticipatori dello stile barocco per il forte senso scenico della rappresentazione, ambientata come se fosse su un palcoscenico. Alla fine del XVI sec. c’è il Cenacolo di Santa Maria Novella (1584-1597), di Alessandro Allori.
La notorietà del Cenacolo leonardesco è testimoniata, oltre che dalle fonti scritte, dalle numerose copie al mondo, realizzate in diverse scale metriche e supporti. Tra le opere, spicca quella del Giampietrino, assistente di Leonardo, proveniente dalla Certosa di Pavia (1520 circa), acquistata nel 1821 dalla Royal Academy di Londra, oggi esposta al Magdalen College di Oxford. Un'altra è quella attribuita a Marco d'Oggiono al Musée de la Renaissance nel Castello di Ecouen, vicino a Parigi, di proprietà del Louvre. Altre copie sono nella chiesa dei Minoriti di Vienna,voluta da Napoleone nel 1809 e quella esposta nel Da Vinci Museum dell'abbazia belga di Tongerlo. Esiste una copia di Cesare da Sesto, allievo di Leonardo, nella chiesa parrocchiale di Ponte Capriasca, vicino a Lugano (1550 circa).
Tra le copie magistralmente riuscite dell’Ultima cena di Leonardo, vi è quella realizzata nel 1835 dal pittore Luigi Cagna – alcune volte chiamato Sagna o Sanna – milanese d’adozione, ma vercellese di nascita, che si trova all’interno del Duomo di San Giovanni a Torino. L’opera fu ordinata dal re Carlo Felice per essere esposta nella Grande Sala del Palazzo, dove ogni giovedì Santo si assisteva alla lavanda dei piedi di 12 mendicanti ( 12 come gli apostoli). Venne realizzata su legno in 5 grandi tavole, per poterla trasportare agevolmente da Milano a Torino. Una volta sul posto venne collocata dall’artista, che unì le parti, ritoccando tutte le giunture; però ci furono subito problemi a causa della fragilità strutturale della parete, non in grado di reggere il peso di oltre 900 chili.
Fu per tale motivo, che il successore del Re, Carlo Alberto, decise allora di donarlo ai Canonici della Chiesa di San Giovanni e venne fissata, direttamente dall’artista tornato da Milano, sulla controfacciata, unica parte della chiesa in grado di sostenerla. I Savoia pensarono come luogo ospitante il Duomo, perché custodiva la più importante reliquia della cristianità, cioè l’immagine acheropita della S. Sindone, con l’idea di creare un “refettorio” simbolico, dove si commemorasse il triduo pasquale, cioè la crocifissione, la sepoltura e la resurrezione. Infatti nel Duomo sono presenti la maggior parte dei simboli cristiani: l’Ultima Cena, orientata ad est, ad ovest la Crocifissione e il Telo Sindonico, in quell’epoca custodito nella cappella di Guarino Guarini. Concludendo con una nota di esoterismo, il 15 aprile 1534, le suore Clarisse di Chambery, iniziarono il restauro della Sindone e lo terminarono il 2 maggio. Queste date sono il giorno di nascita e di morte di Leonardo Da Vinci.

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