L’AQUILA : DAL CENTRO STORICO AI CENTRI COMMERCIALI

A L’Aquila c’erano tante belle chiese, costruite dal XIV secolo in poi, simboli di fede religiosa e di eccellenti abilità nel lavoro del legno e della pietra, con portali e rosoni, più o meno importanti ma tutti armoniosi nelle linee proprie e nell’ambiente circostante, con la piazzetta con la fontana ed il palazzo nobiliare di fronte o accanto, lo spazio verde della casa canonica, l’intreccio dei vicoletti nei dintorni, fino a diciotto mesi fa zone piene di movimento, di vivaci attività professionali ed artigianali, che trovavano il loro sbocco nella Piazza del Mercato, o Piazza Duomo.
Non c’è rimasto molto, mura di pietra esterne ancora in piedi nascondono interni disastrati, che cosa ci sarà al posto loro non è per ora prevedibile, rimandato ad un avvenire che va ben al di là del tempo di una vita. Lo spazio vuoto della Piazza del Mercato è sempre più triste, qualche negozio che ha riaperto non ha più il movimento di gente che aveva prima.
Una cosa si vede bene, la diaspora degli aquilani verso zone periferiche o paesi limitrofi che hanno come punto di aggregazione i numerosi centri commerciali, sempre affollati, dove si fanno quegli incontri che prima avvenivano per il corso. Ce ne sono tanti, cresciuti in tutte le direzioni della città, preesistenti al sisma o costruiti dopo in tutta fretta. Sono confortevoli, spaziosi, puliti, fatti apposta per vendere e comprare, ed anche per fare un pasto veloce all’ora della pausa pranzo, per gente che era abituata a tornare a casa per il pasto dell’una ed ora non ha più il tempo per farlo. La crescita di ristoranti, mense, tavole calde, pizzerie, rosticcerie testimonia il cambio di abitudini, la rapida accelerazione di un fenomeno già in atto prima del sisma, dovuto agli orari di lavoro che tendono a ridurre sempre di più l’intervallo di mezzogiorno ed alle distanze fra casa e luogo di lavoro rapidamente aumentate.
Queste cattedrali di vetro cemento con ampi parcheggi al posto di sagrati e piazzette, sono l’espressione della cultura prevalente. La città nuova che ha come punti riferimento questi veri e propri monumenti alla produzione ed al consumo di massa è figlia di questa cultura tesa al profitto ed all’arricchimento. Insomma la leggenda delle 99 chiese e 99 piazze si può oggi tranquillamente sostituire con il racconto di 99 centri commerciali. Ed è in base a questa cultura che si può veramente parlare di miracolo aquilano, il miracolo elargitoci da una sventura naturale e da un potere terreno che, insieme, sono riusciti a stravolgere l’identità di una città.
Tutti i fabbricati antichi del centro storico deserto ed abbandonato, pure quelli che dovranno essere abbattuti, sono solo stati messi in sicurezza, cioè puntellati, legati, sostenuti con pali di legno o acciaio, la ricostruzione effettiva rimandata ad un futuro indeterminato. Tutto qui, il più grande cantiere d’ Europa. Per quanto tempo dovremo vedere questo spettacolo?
Non riesco ad evitare la passeggiata quotidiana nel centro storico, anzi, se prima poteva essere noiosa ed inutile, oggi la considero doverosa. Doveroso dimostrare che cosa? A chi? Alle pietre? Ai lavoratori stranieri? Che non abbiamo abbandonato la città, che per noi non è ancora una Pompei di montagna, che vogliamo tornare a viverci e non solo a guardare pali e sostegni. Vogliamo dire che gli agglomerati umani delle cattedrali del commercio non sono la sostituzione dell’esistente. Sono un’altra cosa, utile, ma non sostitutiva della città antica.
Avremo mai un segnale di rinascita della vita nel centro storico? Possibile che dopo diciotto mesi dal sisma non ancora abbiamo la più pallida idea di che cosa si farà e quando, nella città semidistrutta? C’è qualcuno in grado di darci risposte alle domande circa il che cosa ed il quando?
Una parola precisa di qualche persona credibile contribuirebbe a far nascere un po’ di speranza nel futuro. Ne abbiamo bisogno. Per riemergere dal buco nero della sofferenza e della nostalgia.

emedoro@gmail.com L’Aquila 6 ottobre 2010

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