Romani e cristiani doc

Paolo Romani, già viceministro, è stato nominato ministro dello Sviluppo economico, dopo un interim di 159 giorni. Nella sala della Pendola del Quirinale, il neoministro ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla presenza del premier Silvio Berlusconi e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. La nomina di Romani era piuttosto scontata e fortemente voluta da Berlusconi, che, nei cinque mesi passati, aveva fatto il suo nome e alla fine ieri l’ha avuta vinta sulle perplessità che circolavano su di lui. Ora il neoministro dovrà occuparsi della questione nucleare. Stando ad alcune indiscrezioni il senatore Guido Possa dovrebbe essere nominato viceministro con delega al nucleare. In questo quadro l’oncologo Umberto Veronesi potrebbe diventare presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. Qualora quest’ultimo rinunciasse, l’incarico potrebbe essere assegnato a Possa. Tra gli altri dossier in primo piano ci sono la vertenza Fiat (legata al progetto ‘Fabbrica Italia’), il rinnovo del contratto di servizio per la Rai e la rete a banda larga. L’attività professionale di Romani, prima di scendere in politica nel 1994 con Forza Italia, si è svolta nel campo televisivo ed è stato tra i pionieri dell’emittenza privata. Nel 1974 contribuisce alla nascita di Tvl, due anni più tardi fonda Milano tv e la dirige sino al 1985. Tra il 1986 e il 1990 è amministratore di Telelombardia e dal 1990 al 1995 è l’editore di Lombardia 7”. Il Corriere della Sera fa notare che “si tratta di un uomo capace e da sempre attento ai problemi delle Pmi, in grado di proseguire con altrettanta professionalità il lavoro svolto fin qui, ad interim, dal premier Berlusconi”. ‘Romani? — si domanda sarcastico Pier Ferdinando Casini dell’Udc —. Avrei preferito Fedele Confalonieri, sia per la sua conoscenza del mondo dell’impresa, sia per la sua conoscenza del mondo televisivo”. Quanto ad Anna Finocchiaro del Pd Romani non è idoneo a causa del conflitto di interessi e Bersani aggiunge “Bisogna vedere se esiste ancora il ministero dello Sviluppo, che in cinque mesi è stato fatto a pezzi”. “Speriamo che nomini persone che non abbiano nessun tipo di conflitto di interessi in un settore così delicato che è quello che più di tutti ha a che fare con le imprese del premier”, ha affermato Dario Franceschini a Sky. Favorevoli, invece, i commenti dalle forze di governo, mentre un in “bocca al lupo” al neoministro, giunge dalla Presidente di Confidunstria Emma Marcegaglia. Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione Europea con delega all’Industria, commenta: “Conoscendo la persona posso solo dire che è un uomo di valore, ha collaborato sempre in maniera molto positiva con le istituzioni comunitarie. E’ l'uomo giusto”. L’IDV, invece, ha già fatto capire che non era favorevole alla nomina di Romani, accusato di avere un palese conflitto d'interessi con le aziende televisive del Cavaliere. Nato a Milano nel settembre del 1947, Romani segue un percorso simile a quello di Berlusconi, muovendo i suoi primi passi imprenditoriali nel mondo delle prime tv private. Dopo il suo esordio alla guida di TeleLivorno, nel 1976 Romani torna nella città natale trovando posto nel direttivo di TeleMilano (l'antenata di Canale 5). Varata Lombardia 7, Romani si defilerà poi dal piccolo schermo nel 1995, un anno dopo il suo ingresso in politica nelle file di Forza Italia. Da allora incarichi legati alle riforme sul sistema radiotelevisivo, un posto nella Bicamerale per la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, la nomina del 2005 come Sottosegretario per le comunicazioni e, dal 2008, la promozione a Vice Ministro allo sviluppo economico. Con ogni probabilità questa sera arriverà anche la promozione. Come scrive acutamente Lucia Bigozzi su L’Occidentale, nello stesso giorno in cui Fini dovrà decidere se fare il presidente della Camera o il capo di un partito e Berlusconi quale strategia mettere in campo per stoppare i tentativi di ribaltone e ricompattare le file della sua maggioranza, si nomina un ministro richiesto ad un compito difficile, quasi a sottolineare, da parte del leader, che ora si torna a lavorare. Secondo i bene informati e quelli che vedono acutamente un futuro in questa fitta nebbia attuale, Fini manterrebbe lo scranno più alto di Montecitorio fino alla conclusione, naturale o meno, della legislatura. Poi, svincolato dal suo ruolo istituzionale, sarebbe libero di prendere la guida del nuovo partito e presentarsi da leader agli elettori. Il nodo sarà affrontato oggi nel vertice futurista. Un fatto è certo: Fini non potrà reggere troppo a lungo il doppio ruolo di terza carica dello Stato e capo di un partito che ha operato la scissione dal partito di maggioranza relativa, ponendosi su una traiettoria anti-berlusconiana. E non bastano le sottolineature dei suoi uomini che rimandano alla presidenza di Casini o a quella di Bertinotti per dire che si può essere arbitri imparziali e leader politici insieme. Francamente un po’ poco per giustificare la questione di opportunità che, invece, gli uomini del Pdl rivendicano auspicando che Fini lasci la presidenza della Camera. Se Fini lascia, Berlusconi dovrà ragionare attentamente su una casella strategica per il prosieguo della legislatura, dalla quale dipendono due aspetti altrettanto importanti: la realizzazione delle riforme che il governo ha nella sua agenda e il consolidamento parlamentare del Pdl ora che Fli si appresta a diventare un partito “di lotta e di governo”. E ancora: in campo c’è pure la possibilità di individuare un nome al di fuori del recinto della maggioranza per dare slancio al progetto del Cav., ovvero il partito dei moderati. E’ su questo versante che potrebbe entrare in gioco l’opzione Casini, letta nel Pdl come un primo passo verso il riavvicinamento al Pdl. Troppe opzioni e troppe operazioni per sparare che davvero si torni a lavorare, mentre rispuntano i soliti problemi mia risolti (immigrati, immondizia, terremoto) e diventano acuti quelli di riforma della giustizia e rilancio economico. Ma la cosa più avvilente è notare come uomini di governo (come Mattioli a Pescara), continuino ad affermare che l’esecutivo ha fatto molto e tutto quello che si poteva e doveva fare e che non è possibili giustificare coloro che hanno “sempre motivi di recriminazione”, mentre bisognerebbe difendere il governo tenuto sulla “graticola” della magistratura. Si profonde in abilità retoriche, arrampicandosi sugli specchi il ministro, come il suo capo Berlusconi, che da giorni, dopo le battutacce sul video de L’Espresso, cerca di recuperare consapevole del rischio di una frattura con la Chiesa, iniziata da quando la prolusione della cardinal Bagnasco contro “i conflitti personali che bloccano il Paese” ha reso evidente l'irritazione dei vescovi per lo scontro infinito con Fini. Dice Francesco Bei su Repubblica, che il premier giocherà tutte le sue carte nelle prossime settimane, quando verrà rilanciato in grande stile il “Piano della Vita”. “Risponderemo con i fatti – ha spiegato ai suoi il Cavaliere – e dimostreremo che non c'è mai stato in Italia un governo così amico dei cattolici. Stiamo facendo molto di più di qualsiasi governo democristiano del passato”. Non a caso Berlusconi in Parlamento ha insistito molto sull'agenda vaticana: quoziente famigliare, norme a tutela della vita, biotestamento, spingendosi fino a parlare di “sostegno diretto alla libertà di educazione”, ovvero soldi alle famiglie che mandano i figli alle private. In questo modo è sicuro di risalire la china. “In serata – racconta il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri – ci sono stati contatti con autorevoli esponenti della Chiesa. E ci hanno detto chiaramente che le battute, seppur non encomiabili, non cambiano la sostanza delle cose: per la Chiesa contano i fatti”. Sul “Piano per la Vita” – campagna contro la RU486, aiuti alle nascite, norme restrittive sulla biopolitica – Berlusconi ha messo al lavoro i ministri Fazio (Salute) e Sacconi (Welfare), che hanno preparato un programma in cinque punti. Mentre sul quoziente famigliare e il sostegno alle scuole ha preteso da Tremonti un allentamento del rigore. Intanto la Cei, su questo d'accordo con la segreteria di Stato, vede di buon occhio il progetto centrista di Pier Ferdinando Casini: l'ambizione di allargare i confini del piccolo partito cattolico. Ma è fredda (a dir poco) rispetto a Gianfranco Fini, uno dei possibili futuri partner del terzo polo. Per questo il premier intende portare al più presto in Parlamento l'agenda vaticana, tradotta in disegni di legge (il biotestamento è già in calendario alla Camera). Ma restano molti altri problemi. Il più urgente è Bossi, che sgomita e si allarga e crea a dir poco imbarazzo con la sua inclinazione antiromana sempre più manifesta. Cosa succederebbe, si chiede il Web Magazine “Fare Futuro”, se il leader di un partito di maggioranza prendesse a pesci in faccia la capitale e la bandiera negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito o in Giappone? Un cataclisma istituzionale. Tanto più che i leader della Lega, così spiritosi quando si parla di Italia, sono serissimi, con la mano sul cuore, quando si parla della Padania (che non è mai esistita). Per loro è molto meglio celebrare il giuramento di Pontida dell'antica Lega Lombarda oppure la battaglia di Legnano. Tutti eventi verificatisi “appena” novecento anni fa. Molto meglio, inoltre, proiettare il film “Barbarossa” di Renzo Martinelli – realizzato e varato nel 2009 dalla Rai a spese dei contribuenti – nel cortile del Castello sforzesco di Milano: propone le imprese medievali di Alberto da Giussano (che a sua volta non è mai esistito). La Lega Nord lo ha “imposto” alla tv di Stato. Con l'obiettivo di fornire ufficialmente i suoi sostenitori di un forte alibi identitario; tanto è vero che – ad imperitura memoria – nel film compare persino il leader Umberto Bossi, nei panni di un nobile lombardo (“Alberto da Giussano oggi sono io”, aveva dichiarato girando la scena). Così da confermare che il popolo “padano” da sempre ha fatto parte di un'unica nazione: capace di lottare, senza defezioni, contro il “potere centralista”. Il bello è che la Lega Nord nell'ottobre 2009 ottenne che alla prima milanese di “Barbarossa” fossero presenti il premier Silvio Berlusconi e altri ministri del Pdl: indotti a partecipare all'esibizione di un film centrato sull'”atavico diritto” della sedicente Padania all'autodeterminazione. Come ha scritto a suo tempo, sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia, si tratta di episodi che “sarebbe sbagliato giudicare casuali e secondari, perciò politicamente irrilevanti”. Gasparri, Capezzone e i loro colleghi fanno tutto il possibile per sminuire, ridimensionare, spiegare ciò che i leghisti per primi – guarda caso – si guardano bene dal definire “innocue battute”, come Berlusconi circa le barzellette blasfeme antisemite. Tutti voglio passare per italiani e cristiani doc, legati a Roma capitale e al cattolicesimo come guida culturale. Ma ci crederranno i diretti interessati?

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